Parlare di Theodorakis (1925 – viv.) non è semplice. Non basta un libro per la sua biografia, ed è ancora vivo. Greco, mostra una dote naturale per l’arte e la musica in particolare. E’ un uomo eclettico e dopo aver studiato musica in giro per la Grecia si ritrova a combattere nella 2a G.M. Arrestato, torturato, quando riesce studia al conservatorio di Atene. Va poi a Parigi per 5 anni (54-59) dove finisce la sua formazione musicale e incomincia a scrivere musica sinfonica; si fa notare a livello Europeo per le sue incredibili capacità compositive e la sua posizione politico-progressista. Quando torna in Grecia trova il tempo per farsi eleggere in Parlamento con la Sinistra. E’ questo uno dei suoi momenti di maggior successo. Verrà di nuovo incarcerato durante il periodo dei colonnelli, spedito in Francia, da dove comincerà a girar il mondo con concerti sempre di grande successo.
Ad oggi ha scritto composizioni di ogni tipo: circa 20 colonne musicali tra cui la Famosa “Zorba il Greco”, musica per teatro, sinfonie, concerti per piano, musica da camera, oratori, balletti opere, tragedie greche, scrive persino libri (circa 20). E’ un nazionalista nel senso artistico del termine, cercando di far rivivere la grande arte greca, attraverso la sua musica, in particolare gli aspetti mitici tragici e classici. In questa 3a Sinfonia che vi propongo, che dura niente meno che 1h:10m troviamo tutta la sua grandezza musicale compositiva.
L’uso del coro è molto scenico, ricorda vagamente i Carmina Burana di Orff. Ogni movimento è come una sinfonia a sé, e in questi 4 movimenti, che sono come 4 mondi differenti musicalmente parlando, Theodorakis ci mostra tutta la sua poliedricità e capacità espressiva. Musica diretta, di presenza, calda, non difficile ma profonda. Theodorakis ha chiaramente una capacità creativa e di scrittura fuori del comune. Ricorda forse Mozart nella sua facilità di scrittura e freschezza musicale, dà l’idea di essere un compositore che scrive di getto senza ripensamenti, e così facendo diventa un canale per la musica. Penso che sia un autore che probabilmente verrà riscoperto nei prossimi decenni. La sua musica non solo è mediterranea-solare, è anche molto eccentrica, viva e, come diceva lui, accessibile a tutti.Se ascoltate scrivete i vostri commenti sotto.
Buon Ascolto!
Direttore…
Come al solito alcuni consigli di acquisto per ascoltare la sua musica:
Un Libro in Francese che ci parla della sua vita, delle sue idee e della musica e l’atre in generale dal suo punto di vista attraverso le sue interviste con un giornalista:
Casella non è molto famoso in Italia, per i non addetti ai lavori, pur avendo prodotto molto sia di musica sinfonica che diverse Opere e Balletti. E’ stato anche un grande teorico e ha fatto divulgazione e trascrizione di diverse opere pianistiche. E’ infatti molto noto nei conservatori. Studiò al conservatorio di Parigi dove ebbe come maestri Fauré e Ravel. Sicuramente essere stato un musicista fascista non lo ha aiutato nel primo dopoguerra e ancora oggi le sue musiche sono difficilmente messe nei programmi sinfonici. Il suo stile, per quanto dicesse di amare Debussy, è molto romantico, si sente forte l’impronta Mahleriana, sopratutto nella musica sinfonica. Nella musica di pianoforte è un compositore più eclettico e direi difficilmente collocabile. E’ stato comunque un introduttore dello stile neoclassico in italia, che allora era ancora poco conosciuto.
Vi propongo la sua 1a Sinfonia. Questa sinfonia è imponente, e lunga. Ha sicuramente molto della musica tardo romantica di Mahler, personalmente ci trovo molto dell’epica wagneriana e dell’imponenza Straussiana. In un passaggio del terzo movimento fa un richiamo alla 9a di Beethoven. E’ una sinfonia non facile, lo dico subito. Molto scenica, ma tormentata, introversa, metafisica…sarebbe da ascoltare con un buon impianto acustico perchè più che i temi melodici, qui la presenza è viva soprattutto nella continua tensione e risoluzione armonica degli archi e ottoni. Sono quelle musiche che vanno ascoltate dal vivo, o in solitudine ad un certo volume, e se prendono interiormente, possono lasciare il segno. Se ascoltate e vi fa piacere, lasciate la vostra impressione nei commenti. . Buon ascolto.
Milij Balakirev è un compositore russo poco famoso ma la cui vita artistica è stata determinate nella musica classica russa. Estremamente progressista, ha cercato di togliere la scuola russa dall’influenza europea, in particolare tedesca, scontrandosi con Rubinstein. Fu Amico di Petr Ilic e fondatore soprattutto del gruppo dei 5, la prima vera enucleazione di una definita scuola classica russa. Al tale gruppo appartenevano anche Mussorgsky, Korsakov e Borodin a cui Balakirev fece da mentore nei loro primi anni. Balakirev ebbe un percorso musicale importante fin da molto giovane, scelse un approccio prevalentemente empirico e rifiutò sempre di piegare il suo naturale talento, forse troppo precoce, ad una formazione accademica, cosa gli precluse alcune posizioni di rilievo. Il suo carattere non facile e le sue idee rigide non lo aiutarono ne nella vita ne a raggiungere la fama che forse avrebbe meritato. Anche nella composizione, maniacale, non pubblicava velocemente le sue opere più corpose e quando le riteneva compiute erano diventate ormai superate spesso dalle composizioni dei suoi stessi allievi che nel frattempo le sentivano durante le lezioni. Non si fece mancare una profonda crisi depressiva e da ateo passo a profondo religioso. Insomma come avrete capito, il giusto personaggio per fare un film sulla musica e i compositori classici. Vi metto qui la sua prima sinfonia, prodotta intorno al ’66-’67 ma la cui prima si è tenuta solo nel 98. E’ una bella sinfonia variopinta di classico stilo russo romantico, ma pulita e non eccessivamente espressiva, con dei temi molto intensi. Il suo pianoforte, in particolare nei pezzi di solo, è invece più viscerale, immediato, spesso si rifà alla musica popolare. Un compositore da conoscere, forse riscoprire, per chi ama la musica russa.
Alcuni CD di valore per ascoltare e comprendere Balakirev
Spesso della musica classica si conoscono i compositori maggiori fino al romanticismo. Alcuni pensano che la musica classica, nel ‘900 in poi, non abbia più prodotto bella musica se non tramite i pochi classici maggiori che tutti conoscono, la cui produzione non è comunque andata oltre la prima guerra mondiale. Niente di più falso. Vorrei fare qualche post su questo argomento per riscoprire la musica classica contemporanea con alcuni compositori forse sconosciuti ai più.
Premetto che sono un amante del Pianoforte quindi su questo strumento concentrerò il percorso. Parto con un compositore ungherese che è più famoso per le sue performance al piano di Beethoven e Mozart che per i suoi lavori da compositore. Salto il primo concerto ( fatto a 20 anni) non perchè non bello ma perchè molto romantico e simile al purtroppo troppo famoso concerto numero 1 di Petr Illic che con il suo “dannato” concerto del 1875 ha quasi forgiato la metà dei concerti per pianoforte venuti al suo seguito per i successivi 50 anni.
Nel secondo concerto, pur ritrovando i movimenti romantici fortemente espressivi e virtuosistici classici della scuola russa, un Dohnanyi sicuramente più maturo e meno accademico trova degli spunti personali interessanti, come l’uso dei tamburi, gli oboi e delle atmosfere cupe e magiche in un minore lento e interiore che sono nuovi come esplorazione del lirismo del piano. Nel terzo movimento vi ritrovo un pò dell’eclettismo scanzonatore di Stravinsky, ma sempre bilanciato e mai fuori dal contesto. Sicuramente un concerto completo e maturo. Buon ascolto
Degli acquisti in vari formati per ascoltare la sua musica:
E se, in fondo, il destino della nostra vita, fosse molto più semplice di quanto noi stessi immaginiamo? Se lo scorrere delle nostra vita non avesse un fine particolare ma fosse visione di una semplice rappresentazione scenica?
In queste 2 sere, lontano dall’uomo, camminando nella natura sotto il cielo aperto e luminoso, guardando la bellezza di questa Luna e delle stelle a contorno, sono rimasto rapito dalla naturale bellezza del mondo nel suo lento scorrere notturno.
E nella luce lunare ho sentito come, in fondo, al di là delle nostre debolezze umane, dei nostri tentativi di volontà e di controllo, forse il mondo, nella sua sola e semplice presenza, è qualcosa di forte…intenso…magico, che non riusciamo ad afferrare…o lo abbiamo dimenticato, senza accorgercene.
Il mondo è semplicemente…e questo essere non è che Pura Bellezza.
E se l’uomo non fosse altro che il mezzo per contemplare la bellezza in tutte le sue declinazioni? Le forme, i chiaro-scuri, l’armonia del colore, il suono della natura, il silenzio che scorre, i profumi e i sapori che ci penetrano, una foglia tra le dita, una pelle vellutata o un pelo morbido e caldo…e altri infiniti dipinti sensoriali, senza fine e senza riposo.
Tutte manifestazioni armoniche e misteriose di un’unica sorgente, che tramite noi gode della sua creazione, del suo paradiso. E noi strumento in esso.
Ma ci perdiamo, e dimentichiamo.
Solo ricollegandosi allo spirito, nel silenzio della notte, quando il mondo dell’uomo tace, ricollegandosi, tutto è bellezza, e questo linguaggio, vivo e penetrante, ammalia e rapisce…porta in un’altra dimensione il nostro spirito, e lo affranca dall’essere umano. Ci sentiamo, di nuovo, finalmente, come avevamo dimenticato, e lo scorrere, dentro e fuori di noi, è vita e linguaggio. E lasciarsi andare, nelle pieghe della vita, a questa sensazione, è una dolce morte verso la Sorgente.
Il Simbolo è Linguaggio universale, un percorso di Conoscenza, una forma di ingresso al mondo del Sacro, un semplice vettore estetico, un catalizzatore nella ricerca introspettiva e infine una curiosità intellettuale. In tutte queste varie forme il Simbolo è uno strumento per l’uomo che vuole compiere un passo al di là del consueto vivere ordinario. In tutte queste declinazioni il simbolo diviene mezzo per entrare in un mondo particolare, non per tutti, e la cui scoperta è materia poco dibattuta se non tra pochi intimi. Molte persone, credo più di quanto si pensi, sono attratte dal Simbolo in forma autentica, animica. Arrivo a dire che probabilmente, di tutti i magneti esoterici, il simbolo è probabilmente quello più attivante sulle persone. Quando le scuole misteriche hanno la dovuta attenzione su questo aspetto nella loro fase introduttiva del postulante, possono, tramite il simbolo, iniziare molti più ricercatori di quanto succede generalmente. Ma questo non succede sempre…anzi. Vi sono 2 problemi di base. Innanzitutto l’attenzione sul simbolo da parte delle Scuole è alta in senso relativo ma non in quello assoluto che è invece il più importante. Spiego meglio: Il simbolo non ha spesso la dovuta importanza in sé come corpo di gnosi e strumento di sviluppo della consapevolezza personale. Esso è spesso più che altro asservito al sistema ontologico della Scuola stessa, come un accessorio strumentale, pur sempre nella sfera operativa, ma non come gioiello di Luce in sé a prescindere dalla Scuola, depauperandone quindi il contenuto profondo che tale Linguaggio ha invece in senso assoluto, come mezzo per arrivare alla Conoscenza sapienziale. Questo mortifica l’attrazione naturale che le persone nutrono in forma intuitiva verso il simbolo quando cominciano il loro percorso misterico. Il secondo aspetto è che l’uomo è attratto atavicamente dal simbolo, ma tale attrazione è spesso di moto istintivo-arcaico, poco definito se non addirittura inconscio. Il simbolo affascina gli amanti della forma e dell’estetica, gli studiosi delle tradizioni dei diversi popoli e gli storici, similmente affascina i cultori del linguaggio come oggetto di studio…Vi sono diversi sentieri attraverso i quali l’uomo perviene al Simbolo, ma senza un minimo di preparazione preliminare, questa forma di comunicazione Universale, rimane indefinita, sfuggente, lontana nei suoi nuclei centrali dal mondo profano che è spesso l’unico metro di relazione e di giudizio. Le persone non hanno spesso quindi la sapienza e la tecnica minima preliminare per entrare in questo ambito in solitudine nei primi momenti di relazione con tale argomento. Questo non solo scoraggia ma rende tale strada troppo buia e indefinita e porta quindi spesso ad abbandonare il cammino dopo i primi timidi tentativi.
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A questi 2 aspetti dobbiamo aggiungere anche l’approccio odierno di derivazione illuministico-positivista occidentale verso la conoscenza che tende indissolubilmente a relegare qualsiasi forma di conoscenza come uno studio analitico-sintetico di tipo puramente razionale dell’oggetto. Questo approccio può infatti essere adottato benissimo e facilmente anche con le classi simboliche, che da questo punto di vista, si prestano sia alla comparazione analitica, ad esempio con i diversi simboli ritrovati nelle diverse parti del mondo con gli stessi significati, sia alla sintesi funzionale, ad esempio certi simboli si riuniscono in determinate classi come applicazioni operative. Ma fermarsi a questo livello, e continuare ad approfondire solo questo aspetto, uccide il simbolo come significante, poiché sappiamo che il Simbolo è animale vivo e cangiante e, soprattutto in ambito Sacro, il significato sotteso è spesso contenente non solo diversi e ampi livelli di contenuto, soprattutto nella sfera soggettiva dove viene adattata dal sistema cognitivo personale, ma spesso tali contenuti sono anche portatori di spazi ontologici opposti (e quindi dialettici) fra di loro. L’approccio quindi razionale nozionistico non è un male in sé ma deve essere principalmente introduttivo e non ritenuto il cuore della questione simbolica. Da questo punto di vista, i libri divulgativi sui simboli e i dizionari simbolici (cioè quei testi che trattano di più simboli possibili dandone origini, storia, presunto significato e possibili applicazioni) dovrebbero avere essenzialmente 3 funzioni: 1) Essere usati con parsimonia come tramite introduttivo nei primi passi in questo mondo, ma senza attardarvisi troppo, proprio per non “uccidere” troppo il potere simbolico 2) Essere usati da coloro che hanno una semplice pulsione nozionistica-intellettuale o al massimo puramente estetica verso i simboli e non sono quindi interessati alla loro valenza pratico-operativa. 3) Essere usati solo dopo il lavoro di “laboratorio” giusto per verificare o confermare che il proprio operare con il simbolo trova riscontro nel mondo esterno e storico e per verificare altri potenziali utilizzi supplementari che durante il lavoro non si sono scorti. Questi 3 punti sono tutti importanti e utili. Per ogni ricercatore è necessario capire, in funzione del suo sentire e volontà di percorso nella simbologia cosa sia meglio fare e questa introspezione dovrebbe essere fatta prima di mettersi in viaggio al fine di non confondersi durante l’attraversata della foresta simbolica. A tal proposito il terzo punto è quello che fa un utilizzo più sapienziale dei libri simbolici, è quindi importante in questo caso studiare con attenzione la vita e le opere dell’autore per capire se il libro in questione ha valenze non solo nozionistiche profane, ma è anche contenitore di informazioni profonde e tradizionali dei simboli stessi. Diversi studiosi di simbologia sono provenienti da scuole puramente filosofiche profane e ricavare da tali autori informazioni utili per i “laboratori” potrebbe essere oltre che praticamente infruttuoso, a volte anche fuorviante. Possiamo infine dire che se i libri giusti possono sicuramente aiutare nel mondo simbolico, è altresì importante dire che per alcun persone non sono necessari né obbligatori. Il Simbolo è infatti un Linguaggio universale, già presente in noi, e può essere risvegliato e riattivato anche attraverso vie non necessariamente razionali-logiche come la lettura dei libri. Alcune persone particolarmente dotate verso gli aspetti pratici della sfera Sacra o naturalmente capaci di entrare empaticamente in sintonia con gli strumenti che la natura ci mette a disposizione non necessitano infatti di questo passaggio, anzi, spesso questo approccio potrebbe rallentarli, confonderli o minarne la naturale predisposizione. Capita di trovare persone con grandi doti naturali di operatività simboliche che si sentono, purtroppo, in dovere di studiarli prima sui testi, solo perché la loro educazione scolastica ha insegnato (forse sarebbe meglio dire inculcato) loro che questo è l’unico mezzo per avvicinarsi in modo serio ad una materia. Capita a volte, parlando con alcune persone, che si ritengano ignoranti di simbologia e poi approfondendo il discorso soprattutto sentendo le loro esperienze, diviene chiaro come invece, pur avendo una conoscenza razionale-nozionistica grezza del mondo simbolico, lo utilizzino già in modo naturale-intuitivo con risultati e risvolti che a volte le persone normali non raggiungono neanche dopo diversi anni. In questi casi, fermarsi per razionalizzarli potrebbe essere dannoso e controproducente, e comunque dovrebbe essere fatto sempre in parallelo al loro utilizzo senza fermare la propria naturale affinità operativa. Questo perché la macchina operativa, che è e rimane la più importante, è già partita spontaneamente come un autodidatta che impara a suonare il suo strumento da solo senza alcuna lezione: spostarsi in modo forte sul lato razionale potrebbe togliere il magnetismo naturale già attivato e funzionale.
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Un modo per approcciarsi e comprendere l’uso operativo sia esoterico che essoterico dei simboli è l’osservazione del loro utilizzo sul corpo, i tatuaggi. Questo è non solo un argomento interessante nella chiave di comprensione del potere simbolico, ma anche poco focalizzato nelle discussioni sui simboli sia in ambito profano che, soprattutto negli studi del Sacro. Tale tecnica, che è antica e presente in tutto il mondo, lega in modo inscindibile il simbolo con il proprio corpo. Nel tatuaggio, il ricercatore ai primi passi in questo mondo, troverà tutte le leggi e le applicazioni nel rapporto uomo-simbolo. È questo infatti un aspetto operativo sacro particolare dell’uso del simbolo, di origine arcaica e pagana, le 3 religioni monoteiste occidentali condannano tutte apertamente l’uso del tatuaggio.
In tale percorso l’unione del simbolo col proprio “io corporeo” permette ai praticanti un rapporto non solo continuo ma profondo e magico. Il tatuaggio è un linguaggio particolare nel mondo simbolico, spesso non del tutto compreso nella sua duplice valenza a livello conscio-inconscio. La continua vista e il movimento del simbolo nonché la consapevolezza che faccia parte del proprio corpo, attiva in modo profondo l’energia simbolica e col tempo il rapporto persona-simbolo diventa non solo molto comunicativo ma anche foriero di una serie di Energie che sono particolari di questo utilizzo in chiave così intima. In questo utilizzo, il simbolo è vettore di diverse finalità, da quello di status sociale, a quello rituale, a quello terapeutico; nei tempi antichi, era soprattutto fatto per attività magico-divinatorie, per aiutare i guerrieri in guerra, per mostrare le persone altolocate; in questo il simbolo era ambivalente: linguaggio tra la persona e il simbolo stesso ma anche funzione sociale delineante alcune caratteristiche particolari della persona all’interno di un gruppo.
Il messaggio implicito era inoltre una demarcazione del simbolo stesso come mezzo da utilizzarsi per solo una classe di persone ben precisa: averlo sul proprio corpo significa infatti una scelta di vita e questo demarca il simbolo con un chiaro messaggio di appartenenza. È ovvio che tutto questo terreno sociale-di vita del tatuaggio deve la sua base ad una conoscenza profonda primordiale e sacra del simbolo e del suo linguaggio attivo intrinseco. Ed è quindi evidente come il tatuaggio sia, fin nelle sue radici, un momento sacro anche per chi non ne è consapevole (ultimamente infatti è spesso erroneamente associato al solo aspetto estetico o celebrativo), dato che mostra un avvicinarsi al mondo simbolico mostrando la volontà di entrare in contatto materiale-intimo con queste energie sottese. Molte persone utilizzano il tatuaggio come percorso mistico interiore, e il farsi sempre più tatuaggi è un avvicinamento al proprio Sanctum Sanctorum, con l’aumentare dei tatuaggi sul corpo il confine tra uomo di corpo e uomo simbolico diventa sempre meno chiaro e definito.
Nei casi estremi, quando tutto il corpo è ricoperto di tatuaggi, il corpo è, per la persona, lo stesso tempio sacro dove i simboli si corporificano e divengono realtà prima per l’anima che vi dimora…un linguaggio che solo gli adepti di questo utilizzo possono comprendere e percepire nel suo significato più operativo. Chiedere a chi ha tatuaggi il loro risvolto pratico sulla persona stessa è indicativo e spesso vi sentirete rispondere che la persona ha intenzione di farne altri in altre parti del corpo; tramite i confronti con queste persone, ovviamente quelle consapevoli di questo percorso iniziatico, avremo la conferma del potere pratico di questo linguaggio, dato che l’uomo tatuato è utilizzatore non solo continuo ma soprattutto di profondità del potere simbolico.
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Questo è forse l’argomento più delicato ma anche il più importante nell’approcciarsi al simbolo quando se ne vuole capire ed utilizzare il potere magico-evocatore, soprattutto come mezzo di sviluppo personale ed interiore. È importante innanzitutto chiarire la finalità che si vuole perseguire nell’utilizzo simbolico. Le applicazioni sono infatti le più disparate e il simbolo come canale archetipale ci mette in contatto con tali energie. L’utilizzo di queste energie deve quindi essere ben chiaro e preciso fin dall’inizio del laboratorio, per evitare risultati imprevisti e fuorvianti. Ad esclusione della teurgia che ha delle pratiche ben codificate e spesso la riuscita del rito simbolico è legato anche alla precisione dell’esecuzione dello stesso, per i restanti campi spesso l’utilizzo operativo del simbolo ha diverse modalità ed ogni praticante ha affinità e predisposizioni che ne rendono l’attivazione leggermente differente da altri. Innanzitutto va detto che il simbolo non deve essere visto come un oggetto intoccabile e da porre sull’altare in modo distaccato. Tutt’altro, il simbolo ama essere maneggiato, creato in diversi modi, rielaborato, tenuto vicino a sé, e persino dove lecito, modificato e evoluto nell’andare del tempo. Questo perché il simbolo è non solo un’energia viva, attiva e attivante, ma è anche dotato di intelligenze e personalità proprie. E se il distanziarlo e trattarlo con troppa riverenza lo mortifica e depaupera del suo potere catartico, il viverlo “totalmente” e continuamente lo richiama, nella sua forma sottile, e aiuta a stabilire un rapporto comunicativo sottile con esso. Per totalmente si intende su tutti i piani: fisico, intellettuale, emotivo, inconscio e animico. Ecco quindi che disegnarlo o visualizzarlo più volte, in diversi momenti e con modalità diverse permette di entrare in contatto con l’energia sottostante. Il disegno simbolico non deve essere né troppo grezzo né troppo preciso. Come quando si scrive a mano libera, il simbolo deve essere ben fatto ma non perfetto. La Matrice Divina è infatti richiamata dalle differenze di ogni ente e disegnare il simbolo lasciando il giusto spazio alla propria impronta personale permette di creare quel ponte tra l’archetipo del simbolo e la propria personalità. Il simbolo andrebbe non solo creato nella sua interezza, ma andrebbe anche scomposto nelle sue componenti per cercare di decifrarne, in modo intuitivo, il discorso complessivo. È utile capire se i vari componenti risultano più attivati disegnandoli secondo una particolare sequenza piuttosto che un’altra, se le linee orizzontali devono essere fatte da sinistra a destra o viceversa, se quelle verticali dall’alto in basso o viceversa, se i cerchi e le spirali in senso orario o antiorario. Mentre si lavora su questi aspetti si deve sentire come il disegno simbolico risponde, si deve chiedere, e si deve entrare in ascolto. I simboli amano inoltre essere combinati in sovrapposizione spaziale e ripetuti di fianco. Disegnare lo stesso simbolo più volte con punti di contatto, richiama maggiormente l’energia, in modo analogo alla ripetizione dei mantra o delle preghiere. In questo lavoro ripetitivo, il simbolo in ogni sua singolarità deve essere sempre leggermente diverso dagli altri, poiché, come abbiamo già detto, la Matrice Divina riconosce e si concentra sulle differenze mentre tende ad allontanarsi dalle forme esatte e perfette poiché ritenute non naturali e quindi non parlanti. La ripetizione è un metodo riconosciuto per stabilire velocemente un contatto con il lato ultraterreno poiché nella ripetizione la coscienza si sposta naturalmente dalla sfera razionale-logica a quella più inconscia-intuitiva. Il simbolo è spesso visto come una forma piana che si sviluppa su un piano. È importante non dimenticare che i simboli rappresentati sul piano possono essere facilmente (e spesso lo sono) proiezioni di figure più complesse, tridimensionali. Si può cercare di immaginarli nella loro forma spaziale, percepirne le sagome, gli spigoli, le altezze. Quando l’immaginazione si è focalizzata su una forma può essere utile costruirla, con un minimo di ingegno, materialmente con i materiali che troviamo più affini. I simboli possono essere dinamici sul piano e sullo spazio, riuscire a vederli mentre roteano, si muovono e si modificano è un altro modo per entrare in comunione con loro. Da questo punto di vista alcuni simboli già mostrano chiaramente una loro volontà di movimento, e tale volontà deve essere realizzata e valorizzata. È il classico caso della svastica. Ecco quindi, che, rifacendoci a quanto detto, disegnare più svastiche vicine, a contatto, con una leggera inclinazione di ognuna rispetto alla precedente permetterà al nostro Io di attivare questa sua proprietà. Il tipo di colore usato ha una sua specifica influenza. Non solo nel colore in sé ma anche nel materiale vettore del colore stesso. Si possono usare matite, pennarelli ma anche inchiostri particolari o sostanze vegetali o animali. Ognuna di queste materie attiva certi aspetti del simbolo e soprattutto ci mette in contatto con essi. E così il colore ha importanza non solo come simbolo in sé ma lo è con i materiali di supporto della tinta, si lavora così su una classe simbolica in sé dentro un’altra classe simbolica dando luogo a linguaggi simbolici a più livelli. Questo nuovamente è dovuto alla personalità intrinseca del simbolo che è dotata di intelligenza propria e risponde in modo diverso a seconda di come lo evochiamo. Dal punto di vista materiale, la creazione del simbolo può avvenire su diversi substrati e il simbolo può essere reso operativo in diversi contesti, a partire dalla natura che è in genere un ambiente ideale nell’attivazione dei simboli sacri. Provare diversi supporti al simbolo e operarne in diversi contesti potrebbe portare a diverse percezioni. Il percorso consapevole sull’utilizzo dei materiali e dei luoghi è parte importante dell’uso operativo simbolico. Con la giusta perseveranza e pratica nel tempo si arriverà a sentire intuitivamente, una volta che si avrà davanti un simbolo, come esso vada creato, modificato, operato. Se spesso all’inizio questa parte sembra un oceano oscuro, col tempo e con il corretto impegno le nubi si diraderanno e le sensibilità affineranno.
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Lo studio della Geometria Sacra è materia propedeutica essenziale e imprescindibile per entrare nel regno simbolico dalla porta principale. Un vero ricercatore simbolico non può considerarsi tale fino a quando non ha compreso gli aspetti chiave di tale materia, dato che avvicinarsi ai simboli senza avere una chiara comprensione della Geometria Sacra non permetterà di afferrare mai completamente e in profondità quello che si sta facendo e la sua funzione pratica. La Geometria Sacra è un argomento sottovalutato in questo periodo storico, quasi dormiente, ma l’attento ricercatore ne troverà naturalmente la valenza basilare nello studio di alcune tematiche in campo mistico. Un intero capitolo, il secondo (2. Simboli e Geometria Sacra) è stato dedicato a questo aspetto ed è quindi inutile qui ritrattare l’argomento. Un’altra tecnica introduttiva è studiare il simbolo nelle sue componenti numeriche, a patto di avere ben chiari i significati archetipali dei numeri e la numerologia in generale.
Ogni componente del simbolo è infatti vettore di un numero ben preciso e la visione di questi numeri nel loro insieme è esplicativa delle potenze simboliche. Una parte triangolare ci richiama il 3, una croce o un parallelepipedo il 4, una stella pentacolare il 5 e così via. Un cerchio o una figura curva numericamente ci richiama all’infinito o al 9 o al 10 o allo 0. Capire perché in quel punto del simbolo vi sia quella forma e tradurla nel numero sottostante ci dà altre informazioni importanti dato che ogni numero è potenza archetipale in sé. Un esempio esplicativo di tale approccio è la Monade Geroglifica di Dee. È importante non dimenticare, nella chiave numerica del simbolo, che anche la sezione aurea (φ un numero irrazionale dalle proprietà uniche) è spesso presente tramite alcune figure geometriche, soprattutto di classe 5 e nelle spirali. La sezione aurea è un tema base della geometria sacra e tale argomento richiederebbe una trattazione articolata in sé. Possiamo accennare che la φ è legata allo sviluppo armonico di una creazione da un centro fino alla sua forma completa finale. Riconoscere la φ nei simboli, quando presente, è una chiave importante nella comprensione dello stesso sia da un punto di vista numerologico sia della geometria sacra. In questo sta il potere e la valenza della sezione aurea: essa è un ponte tra il numero (l’idea) e la geometria (la materia).
In questo ottavo momento sul Simbolo speriamo di avere dato un’introduzione alla comprensione e alle diverse modalità di studio e operative del simbolo. Il momento introduttivo al simbolo è un argomento spesso non sufficientemente focalizzato, ma tanto vasto quanto fondamentale, sia per non perdersi che per non perdere l’interesse iniziale. Poter capire la propria collocazione in questo universo energetico-archetipale è non facile soprattutto quando l’iniziando è solo nei suoi primi passi. Auguro a tutti voi un fruttuoso percorso simbolico e una affascinante scoperta in questo paesaggio vivo e magico.
I Simboli sono un canale per accedere ad una conoscenza diretta che non appare a prima vista, spesso una conoscenza nascosta svelabile solo a chi possiede la giusta chiave. Essi sono un tramite ideale inoltre per sviluppare una particolare intelligenza che meglio si adatta alla comprensione delle leggi della natura e dell’universo.
La ragione è un grande strumento e permette all’uomo prodigi incredibili nel mondo concreto, ma non è la verità in senso filosofico, ne mostra infatti solo una parte. Ecco che il simbolo ci aiuta a sviluppare l’altra parte in modo complementare e ad armonizzare la nostra intelligenza e percezione per avvicinarci in modo completo alla verità totale del nostro essere e della natura che ci sostiene. Questo argomento, che abbiamo già trattato nei precedenti appunti, è l’aspetto pratico più importante nell’utilizzo del simbolo ed è per questo che il simbolo è studiato in modo predominante nelle scuole dei misteri e della conoscenza esoterica.
Tuttavia sarebbe riduttivo voler dare al Simbolo solo questa funzione di accesso alla conoscenza. Il simbolo è uno strumento pratico in tante altre valenze e sfumature, a partire dal mondo profano dove il simbolo è usato largamente, in contesti dove spesso lo diamo per scontato e quindi non ci rendiamo neanche conto del suo utilizzo così esteso e fondamentale.
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Innanzitutto il simbolo è strumento di convenzione nel linguaggio partendo dalle lettere che sono espresse visivamente con dei simboli: la A in quanto disegno è un simbolo del fonema A, cosa che si studia da bambini, e quindi si dimentica di come tutta la scrittura sia ampiamente simbolica. Ne è la prova che alcune scritture simboliche, tipo i geroglifici egiziani, ma non solo, oltre a richiamare delle classi fonetiche, avevano nei loro segni delle forme, figure e rappresentazioni afferenti a dei concetti o addirittura piante o animali che sottintendevano, oltre al fonema, un archetipo o una forza o un’idea ben precisa. È noto come gli scribi egizi fossero una classe privilegiata e che solo i sacerdoti potessero interpretare i testi misterici, proprio perché l’interpretazione simbolica era molteplice, ossia su più livelli. «Sii un artista della parola, sicché tu sia potente. La lingua è la spada dell’uomo» recita un detto Egizio. I simboli ci informano e ci guidano, coi numeri, indicazioni stradali, frecce, aree, linee… molto nel modo profano è simbolo, ma ne siamo così sommersi che non li riconosciamo per ciò che sono simboli.
Il telecomando è un mappario simbolico che ci permette di comandare la televisione. Il cruscotto ci simboleggia lo stato della macchina. Una mappa geografica o stellare, un’equazione matematica sulla lavagna, un disegno tecnico su un foglio, una funzione logaritmica su un display, una tabella di dati… tutto nel mondo umano, quando si ha che fare con la conoscenza, è nella maggior parte processo cognitivo di astrazione fruito attraverso i simboli. E qui, in questo contesto, stiamo parlando di fruizione immediata, diretta, condivisa e univocamente chiara. Questo è un presupposto necessario per un linguaggio efficace. E i simboli si prestano perfettamente a questo. Ecco che chiunque sia veramente interessato all’aspetto cognitivo dell’essere umano nella sua dimensione più profonda, non può evitare di affrontare questo argomento.
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Vediamo ora delle applicazioni più “nascoste”, meno appariscenti e chiare, ma non per questo meno importanti o chiare.
Il simbolo è anche criterio di demarcazione territoriale sottintendendo la padronanza del luogo all’egregore a cui si richiama. Il Crocifisso nel mondo cristiano ne è un chiaro esempio, così come la mezza luna in quello musulmano. Ma se la croce è facilmente codificata come demarcatore simbolico nel contesto del tempio (la chiesa), lo è meno chiaramente in altri contesti. Ad esempio nelle aule di scuola. Il crocifisso appeso spesso dietro la parete del professore o del maestro in un’aula parla chiaramente. Sta demarcando quella stanza in modo chiaro. Dice che il momento dell’apprendimento segue una via di tradizione cristiana. Ecco perché in questi anni questo oggetto appeso sulla parete più in vista dell’aula è fonte di dibattito. E’ nel suo potere marcante territoriale. La stessa cosa per le bandiere che devono essere poste in alto. Anche questo è un forte linguaggio simbolico. Ne siamo così assuefatti che quasi non ne abbiamo consapevolezza. Il simbolo della bandiera in alto significa predominanza territoriale e di comando, la vicinanza al cielo indica potere e superiorità. Lo stato, nella bandiera, si proclama superiore al singolo e con il potere massimo.
Tutti i simboli in politica hanno un fortissimo aspetto sia di potere sia identificativo, ma anche fortemente emotivo e di egregore: bolscevichi in Russia, fascisti in Italia (il cui nome si rifà proprio ad un simbolo) e nazisti in Germania hanno fatto un chiaro e strumentale uso di simboli persino nelle loro uniformi, come una componente di aggregazione emotiva e fortemente ideologica dove il singolo uomo si uniformava in modo più immediato, quasi catartico con la volontà del gruppo. Il simbolo in questo è sempre stato strumento catalizzatore e facilitatore e i leader politici hanno sempre intuitivamente o tramite lo studio, saputo questo versante del potere simbolico e di come trarne beneficio usandolo per indirizzare le persone senza una forte consapevolezza critica verso le loro proposte o ideologie.
Una volta che avviene “l’aggancio emotivo”, magari in adolescenza dove il magnetismo ricettivo è forte ma poco discernente, la persona ne può rimanere “vittima” inconscia per il resto della vita. Ecco spiegate alcune scelte che si procrastinano spesso fino alla fine della propria avventura terrena senza una apparente logica. Il simbolo richiama ineluttabilmente e magneticamente uno stato passato felice, e la persona ne fruisce a puro livello emotivo disinteressandosi delle ripercussioni nelle altre sfere della vita.
Sotto quest’aspetto il Simbolo è uno strumento di potere che in alcuni momenti della storia ha determinato l’andamento delle cose.
Ecco un classico esempio: durante la rivoluzione francese, il tricolore blu-bianco-rosso venne inventato per sostituire simbolicamente la bandiera bianca dei reali ed esso nei contenuti simbolici era chiaramente in contrapposizione alla bandiera dei Borboni. Con la presa della Bastiglia (impresa anch’essa ad alto valore simbolico, poiché la sua funzione reale, la liberazione di pochi prigionieri, era ovviamente trascurabile), il tricolore divenne il simbolo della prima Repubblica. Ma subito dopo la sconfitta di Napoleone a Waterloo, il tricolore venne risostituito dalla bandiera bianca reale in tutta la Francia. 15 anni dopo, con la Rivoluzione del 1830, ritroviamo il tricolore che si impone definitivamente. Simbolicamente questi cambiamenti di bandiera per le strade e nei punti più alti degli edifici, per la popolazione francese, avevano implicazioni emotive di enorme rilevanza, che costituivano una componente essenziale della lotta politica stessa. Quando nel 28 luglio 1830 venne portato il tricolore in cima alle torri di Notre-Dame e dell’Hotel-de-Ville a Parigi, con l’esito della battaglia ancora incerto, la vista di questi simboli contribuì a risospingere il popolo nella lotta con rinnovato ardore.
Da queste vicende si vede come nei simboli sociali e politici esistono 2 poli semantici, uno ideologico e l’altro sensoriale: il simbolo evoca determinate visioni del mondo, certe idee relative alle entità sociali, alla storia, ai sistemi normativi e ai diritti dell’uomo, ma nello stesso tempo suscita anche particolari stati emotivi collegati ad essi e la cosa determina una pulsione motrice nell’animo umano che lo porta a rispondere in modo quasi inconscio alla stimolazione sensoriale del simbolo in certi contesti ed in certi momenti critici. È ora chiaro che le bandiere, le figure eroiche (come la Marianne), le uniformi, le musiche e tutto quanto può essere utilizzato di scenico è funzione chiara del potere simbolico. Esso viene utilizzato per portare gli uomini nella sfera emotiva atta a farli agire come loro credono necessario, ma in tutto questo il processo è falsamente razionale, ma puramente emotivo e associativo.
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Come stiamo vedendo il simbolo apre porte emotive in modo automatico attraverso il processo di associazione e questo è usato non solo in campo politico ma anche in campo ludico e in campo artistico.
Il ????? ?? ????????? di romana memoria è giunto a noi in forme più attuali con una rappresentazione scenico-simbolica che ha le stesse finalità se non addirittura maggiori di quei tempi. Le squadre che si affrontano in uno stadio simboleggiano gli eroi della propria città che affrontano, sul campo di battaglia, gli eroi delle altre città come fecero Achille ed Ettore nella guerra di Troia. Le divise sportive sono le uniformi delle battaglie. Gli arbitri rappresentano la volontà giuridica che governa il campo di battaglia. E in questo contesto ritroviamo la simbologia primitiva e più diretta del popolo, una rappresentazione scenico-simbolica per ricollegarsi alla propria tradizione arcaica di guerre e battaglie con i popoli vicini. È per questo che le partite sportive più sentite sono sempre con le squadre delle città vicine: perché lo scontro bruto avviene sempre innanzitutto con le popolazioni limitrofe. Ecco che il simbolo non è solo il semplice segno od oggetto, il simbolo è anche la rappresentazione scenico-simbolica. Questo lato del simbolico è parimente potente e catalizzatore di certe emotività che l’uomo deve vivere in modo collettivo fin dai tempi più remoti. Queste rappresentazioni simboliche, si rivestono di nuovi abiti, parlano nuove lingue col passare dei tempi, ma nei loro contenuti essenziali, sono linguaggio simbolico arcaico profondo e continuo e proprio per questo, necessario e potentissimo.
Un argomento interessante sul versante ludico simbolico sono sicuramente i giochi delle carte e gli scacchi. Ma in realtà ogni gioco è simbolo e rappresentazione di altro. Attraverso il gioco, il bimbo viene iniziato al mondo, ne carpisce le regole e le modalità. Nel gioco si sperimentano nuove situazioni, nuove modalità, nuovi principi. Il gioco è come un rito iniziatore magico e rappresentativo del mondo reale.
Negli scacchi la simbologia è potente e ci insegna dell’eterna lotta ed equilibrio tra le forze della notte e del giorno. Un signore della notte, con le sue forze archetipali contro un signore del giorno con le stesse forze a disposizione. E nel gioco vince il signore che, non con la forza bruta, bensì con l’intelletto è in grado di usare le proprie forze nel modo più armonico (la capacità posizionale), nel modo più volitivo (l’atto strategico) e nel modo più profondo (la capacità di analisi tattica). Ecco che il gioco è strumento di apprendimento e di esperienza. Poiché gli scacchi sono un piano simbolico delle forze che ci circondano nella vita.
Le carte sono un altro racconto simbolico della nostra vita e dell’universo. Le 52 carte rappresentano le settimane dell’anno. I 4 segni le stagioni ma anche le sfere del nostro vissuto, gli arcani minori sono tutte rappresentazioni ben codificate a partire dalle figure (re, regina, cavallo e fante) e se non chiare a livello conscio, tali simboli vengono comunque percepiti a livello sottile inconscio. Una partita rappresenta una vita o un ciclo, nel quale tutte le carte giocate, ad una ad una, ci raccontano ogni volta una storia nuova, sempre dentro le regole del gioco che è la nostra stessa vita. Noi come giocatori non siamo altro che la rappresentazione di noi stessi ma in un universo parallelo puramente simbolico, dove gli altri giocatori, così come nel mondo reale, rappresentano forze a volte alleate a volte nemiche nel raggiungimento del nostro ideale.
La nostra bravura nel giocare, nel ricordare le carte, nel prevedere le mosse degli avversari dai loro comportamenti, non è altro che l’arte di capire il mondo e le sue regole e come poter trarne il miglior risultato e beneficio possibile. E in questo gioco simbolico la visione del tutto ci insegna moltissimo: come porci nei confronti della partita e degli avversari, come sviluppare il nostro intelletto logico dentro le regole, come apprendere l’equilibrio tra attesa e azione, tra memoria e slancio intuitivo, come interpretare l’avversario e la potenza delle sue carte rispetto alle nostre. Non è forse, questo gioco simbolico, un maestro che ci abbraccia amorevolmente, deliziandoci, con l’espediente di un gioco, ma insegnandoci in realtà, silentemente, l’arte del vivere in equilibrio?
Parleremo dell’arte in un altro contesto poiché il rapporto simbolo arte è interessante e merita un discorso a parte.
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Abbiamo visto fino ad ora come il simbolo sia un linguaggio vasto: dell’utilizzo della pura sfera razionale con i simboli matematici, ad applicazioni pratiche e utili nella vita quotidiana, utilizzi di demarcazione territoriale, utilizzi politici e persino nella sfera ludica. Rimane da vedere il lato pratico operativo nel sacro del simbolo che è oggetto di studio nelle scuole iniziatiche.
Innanzitutto il simbolo, come abbiamo già visto, è un portale verso altre vibrazioni e altri regni. I glifi e altri simboli di teurgia operativa sono da sempre stati codici di accesso a entità. Saper usare questi simboli nella corretta ritualità teurgica da accesso a questi piani e a queste forze e esseri.
Tutta la magia operativa, dalla Teurgia fino allo Sciamanesimo fa un utilizzo imprescindibile di simboli sai in forma scritta, di oggetti, gesti, posture, postazioni e preparazioni sceniche nel tempio, profumi, atmosfere luminose, etc… Queste diverse modalità simboliche sono mezzi o chiavi per richiamare quanto richiesto su un piano accessibile, o viceversa per aiutare il Magus ad innalzarsi verso le ottave di presenza di tali energie. Queste tecniche sono tramandate in via esoterica e la capacità di farne uso è argomento delicato e soggettivo.
Credo che su questo argomento non sia utile aggiungere altro in questo discorso. Vi sono sedi molto più opportune per approfondire questo tema, per chi ne è interessato.
Ma il simbolo sempre in chiave esoterica può essere usato in modo operativo anche facendone un utilizzo diretto per dialogare con la natura e chiederle degli aiuti o favori. In Africa i cacciatori disegnano sulla terra le proprie prede infilzate dalle loro lance prima di andare a cacciare come auspicio e forma di visualizzazione di ciò che vogliono concretizzare; alcune tribù, durante i riti propiziatori della primavera, scavano buchi a forma di vagina nella terra buttandoci dentro lance simbolizzando l’atto procreativo e richiamando la fertilità per l’anno che sta iniziando.
Le segnature delle donne contadine sono un esempio classico, tradizione tramandata di donna in donna, dentro la famiglia, in determinate notti dell’anno. Le segnature sono un’arte iniziatica simbolica che sfugge alla nostra sfera razionale eppure mostra come il simbolo dia accesso e sottometta (in un senso positivo) le forze della natura e le utilizzi alle necessità umane tramite Maghi che ne possiedono le giuste chiavi. Con la tradizione delle segnature è evidente che per diventare operativi attivi, non è sempre necessario frequentare scuole misteriche e fare un percorso molto strutturato. A volte l’iniziazione è immediata e semplice. Il percorso pratico avviene quindi di fianco ad un Maestro d’Arte che ti insegna con il suo esempio. Anche questa è scuola simbolica.
Un altro esempio è la creazione di un simbolo ben specifico, parliamo degli amuleti e dei talismani, simboli antichi come il mondo, ad esempio con finalità protettiva, afferente ad una certa sfera che a noi interessa, ad esempio la protezione di una casa. Ecco che creare nel giusto modo il simbolo protettivo e porlo nel centro della casa, o meglio ancora sotto la casa, ha un’azione di protezione in quanto le forze sottese dal simbolo si attivano spontaneamente appena collocato con la giusta preghiera (l’utilizzo di tali oggetti viene sempre attivata magneticamente con un collegamento alla Grande Madre per mezzo di una invocazione cardiaca), creando una struttura energetica in tal senso.
Così vi sono simboli di fertilità, di attivazione, di abbondanza, di cura, etc… Questi simboli, corporificati negli amuleti e nei talismani, fanno parte di un’arte operativa simbolica studiata non solo nelle scuole magiche, ma perfino nelle tradizioni popolari e rurali. Un testo che avvia a tale via è sicuramente la Filosofia Occulta di Agrippa. Eccone qualche riga per comprendere: “????? ?? ?????? (? ???????) ??????? ??????????, ?????? ??????? ????????? ????? ????? ? ??? ??????? ??? ??????????? ????????. ? ???? ??????? ???? ?? ?????????? ? ?????? ???̀ ???????, ???????? ??? ????? ???????? ???????? ????’?????????? ? ????? ?????????????? ????????, ?? ????? ????? ???? ?????? ????? ?? ??’??? ?ℎ? ?? ???????? ?????? ?? ???? ???????…” (Cap XXIII Libr. II°). Parole che andrebbero meditate per capire la potenza di queste applicazioni simboliche.
Ecco che Agrippa ci dice che non solo Amuleti e Talismani operano meraviglie. Ma anche il semplice disegnare i giusti simboli sulla semplice carta può dare luogo all’Arte. Poiché nella carta stiamo, con un atto creativo divino (di cui l’uomo è dotato), corporificando un’idea e una potenza che vogliamo attivare. L’utilizzo magico quindi del simbolo in questo contesto, se fatto con la giusta ritualità e presenza magnetica, darà luogo agli effetti richiesti, sia che esso sia su un foglio di carta, sia che sia una matrice più nobile. È il Magus, il magnetismo e il rito ad attivare le potenze, non il materiale di supporto in sé o la grandezza del materiale.
Saper usare il simbolo in tale contesto, con i 5 elementi e le opportune geometrie sacre dà accesso a questa scienza iniziatica. E si è già detto molto.
Trattare le applicazioni pratiche e operative del simbolo è argomento sconfinato. Il simbolo è uno dei linguaggi più vasti ed utilizzati nel campo umano in differenti contesti e sfere cognitive.
Speriamo di aver dato, almeno parzialmente, un’idea della vastità di questo oceano i cui confini sono difficilmente contemplabili in un singolo sguardo.
Oggi con grande piacere vi presento una sorpresa. Ho sempre avuto una leggera sofferenza, come amante della musica classica, nel non avere mai incontrato una compositrice di vero spessore artistico. Esecutrici e interpreti si, soprattutto in queste ultime generazioni, ce ne sono state e ce ne sono. Ma come composizione, il panorama era esclusivamente maschile. E invece no. Invece oggi vi parlo di una fantastica compositrice. Sono 3 giorni che sto ascoltando la sua musica e devo dire che tanto sono impressionato dalla bellezza della sua arte quanto su di lei c’è poco o nulla su internet e sui negozi online. Che peccato!
Ma chi è Lucija Garuta? Garuta è una musicista lettone, nata nel 1902 nella Capitale Riga, della giovinezza sappiamo che studia al conservatorio della sua città natale per poi specializzarsi a Parigi, negli anni 30. Tornerà dopo qualche anno a Riga. Ricordiamo la Lettonia è sotto il regime Sovietico in quegli anni. Fu insegnante al conservatorio di Riga ed esponente di spicco nel panorama della classica lettone. Era un’ottima esecutrice e fece diverse tournée in Europa come pianista. Morì nel 1977 sempre a Riga. Purtroppo ebbe 2 fattori limitanti che ne minarono le sue capacità artistiche, soprattutto compositive: innanzitutto ebbe problemi di salute, tant’è che neanche 50enne dovette smettere di insegnare al conservatorio per curarsi; e in secondo luogo la sua musica subì la censura del partito comunista poiché ritenuta troppo sentimentale (Shostakovich ne sa qualcosa).
Un vero peccato perchè la sua musica ad un ascolto attento rivela una profondità timbrica e una architettura molto forte e piacevole. Nella sua musica si sente la scuola Russa tardo romantica anche se non in modo troppo forte, con accenni anche chiari verso il neoclassicismo soprattutto francese. Ecco da questo punto di vista Garuta è un’artista, a mio modo di vedere, che riesce a combinare questi 2 stili abbastanza lontani in una sintesi non solo proficua, ma molto coinvolgente sia emotivamente (romanticismo) che esteticamente (neoclassicismo).
La sua musica suona bene, scorre bene, non è pesante o difficile, ha la forza russa ma anche la leggerezza neoclassica francese. Vi presento i 4 preludi per pianoforte con un’ottima interpretazione di Armands Abols. Sono 4 per 9 minuti di coinvolgente ascolto, bellissimi per gli amanti del pianoforte neoclassico. In alcuni punti senti la leggerezza e la ricerca tonale di Debussy e in altri la dinamicità di Scriabin, il tutto perfettamente miscelato.
E poi, come secondo ascolto, dopo essersi rilassati con i preludi, il suo capolavoro, un pezzo in sé unico, che mette in difficoltà nel raccontarlo poichè esce dalle forme canoniche della composizione classica: Il Dievs, Tava Zeme Deg (Signore la tua terra brucia) che viene considerato, a mio parere a ragione, il suo capolavoro. Musica per organo e coro è una pezzo di chiara ricerca metafisica.
Per essere capito e apprezzato va ascoltato con la dovuta presenza e non come sottofondo sonoro mentre si fa altro. Non è un pezzo semplice, richiede una certa esperienza di ascolto. Armonicamente è molto intenso, il dialogo tra il coro e l’organo crea atmosfere a volte cupe a volte paradisiache. In esso si trovano delle atmosfere dei classici Requiem, ma anche i Carmini Burana di Orff o la musica per organo di Max Reger. Garuta è molto brava a non eccedere in queste ricerche pur andando a toccare panorami sonori di confine, quasi ipnotici.
La composizione è del ’43 quindi una Garuta matura ancora in forze fisicamente, nell’apice del suo percorso musicale. Tutto il brano vive in una dimensione metafisica precipua della Garuta, che è capace di darne una profondità emotiva, come di tensione verso il divino, ma sempre con grande equilibrio. Un vero peccato che una donna così dotata sia stata limitata dalla salute e dal regime comunista. Probabilmente la sua capacità creativa in un contesto più favorevole le avrebbe permesso di produrre molte più opere e sicuramente il fatto che sia stata una donna in una nazione minore non la ha aiutata nel promuovere la sua musica…E’ praticamente sconosciuta ma la sua musica è di livello indubbio…
Buon Ascolto e come sempre fatemi sapere le vostre impressioni sull’ascolto nei commenti.
PS: dimenticavo, ha fatto un concerto per pianforte assolutamente da ascoltare. Se amate Rachmaninov vi piacerà sicuramente.