Adone nacque da Mirra. Quando, da una fenditura dell’albero, il piccolo Adone venne alla luce, le ninfe lo raccolsero commosse e lo nutrirono, allevandolo nelle grotte d’Arabia. Il fanciullo, crescendo, divenne bellissimo. Mentre cacciava in un bosco sacro, Afrodite lo vide e s’innamorò di lui, dimenticando Ares. Ma il dio della guerra se ne accorse e decise di punire ferocemente il rivale. Si mutò in cinghiale, e indusse Adone ad inseguirlo; poi gli si rivoltò contro e lo sbranò. Adone lanciò un grido così alto che Afrodite lo udì e accorse trafelata. Lo trovò in un prato, già morto. Il sangue macchiava l’erba attorno, e per volere della dea il corpo di Adone si trasformò in un anemone rosso come quel sangue. Intanto l’anima scendeva agli inferi, dove regnava Persefone. Afrodite si recò a sua volta tra le ombre, per reclamare l’innamorato. Ma Persefone si rifiutò di restituirlo, perché anche lei se ne era innamorata. Afrodite era una dea potente e cocciuta e non aveva nessuna intenzione di cedere, perciò restò nel regno dei morti protestando, mentre sulla terra, privata della sua presenza, tutto inaridiva. Zeus risolse il caso senza far torto a nessuno: decise che Adone avrebbe trascorso alcuni mesi con Persefone, altri accanto ad Afrodite che si accontentò e tornò a fecondare la terra, in primavera. Al suo passaggio tornavano a fiorire le rose e gli anemoni.
La lacrima dell’angelo caduto
Un ricordo per l’uomo nella sua discesa materica.
Affinché il tormento della caduta
divenga energia vivificante per l’ascesa,
e così si compia la bellezza di quello sguardo acceso.
Rialzandosi l’angelo, dalla caduta ritrova il volo,
dal tormento la Pace e dalla lacrima, un sorriso…
o forse un Bacio.
Questo è il destino di noi, Angeli Caduti.
Fluire…
Fluire… come l’acqua.
Siamo adattabili, ci muoviamo nelle curve della vita…
Siamo morbidi e sinuosi.
Come l’acqua accettiamo…nulla può colpirci o spezzarci.
Come l’acqua trasparenti e sfuocati,
portiamo memoria ma non ne facciamo menzione.
Come l’acqua puliamo e mondiamo i nostri difetti,
smussiamo gli spigoli in silenzio, continuamente.
Come l’acqua nutriamo la terra e la facciamo germogliare.
Osserviamo gli altri intorno a noi quando camminiamo in una strada di città: siamo circondati non tanto da corpi, quanto da volti in continuo movimento. Ci parlano, ci raccontano la loro vita. I volti hanno un’attrazione magnetica verso i nostri occhi, prendere la loro energia, captarla anche se per pochi secondi, ci rende partecipi di un racconto. Un volto una storia, una storia un universo…e così 1000 universi a nostra disposizione. Tuttavia la storia dei volti e della loro rappresentazione, in quanto maschere ha sempre avuto modalità ben strutturate nel nostro mondo…
𝗠𝗮𝘀𝗰𝗵𝗲𝗿𝗮 𝗥𝘂𝗼𝗹𝗶 𝗲 𝗔𝗿𝘁𝗲
Nei ritratti, fino al ‘900, il volto doveva essere riprodotto con la miglior perfezione e fedeltà possibile. Poi a partire dai primi decenni del 20° Sec la strada cambia: il volto non è più realismo della persona, che è al centro del proprio universo percettivo, ma diviene altro, metafora, modello e mezzo interpretativo sia per l’artista che per lo spettatore. Il volto diviene esplicitamente maschera e la maschera ci parla d’altro. Così abbiamo l’Urlo di Munch con tutta la sua angoscia esistenziale, l’Autoritratto di Ensor con l’unico volto umano del pittore su un sottofondo di maschere non solo macabre e grottesche ma anche dalle orbite vuote…chiara critica verso una civiltà deforme e vuota.
O i famosi dipinti surreali di Magritte dove il volto non viene mai contestualizzato, quasi a voler dire che nella dimensione rappresentativa l’essere sfugge ogni definizione e delineamento. In tutti questi nuovi linguaggi, la maschera del volto assume connotati nuovi. Se prima le maschere dei ruoli erano un dato di fatto necessario e imprescindibile, parte stessa della vita sociale, a partire da questo momento storico, dove la stessa realtà viene messa in discussione così come è percepita persino dalla scienza con la relatività e la fisica quantistica, il volto e la maschera divengono oggetto di studio e di analisi non più solo sociale e strumentale, ma anche interiore e personale, un viaggio analitico e riflessivo dell’essere in questa dimensione…
𝗠𝗮𝘀𝗰𝗵𝗲𝗿𝗲 𝗲 𝗶𝗹 𝗺𝗼𝗻𝗱𝗼
Il volto diviene quindi specchio dell’anima, più degli occhi stessi. E come tale, il volto, necessita di protezione attraverso una maschera, per proteggere ciò che mostra: l’espressione del viso è dunque il vero mezzo di comunicazione tra l’individuo e il mondo: se però il volto viene coperto, falsato, mascherato, il contatto con la realtà si perde e l’anima rimane dietro e quindi protetta. Abbiamo sempre saputo, fin quasi da bambini, che per vivere bene nel mondo, è importante avere delle maschere di protezione e di convenzione. Queste maschere non solo ci permettono di apparire come gli altri vogliono, come si aspettano che noi dobbiamo essere, come l’etichetta sociale o famigliare impone…
Le maschere sono anche un linguaggio convenzionale tra uomini che appartengono a diversi clan, e che attraverso tali clan, si mostrano al mondo degli altri clan. Il clan dei dark, degli artisti, dei lavoratori in giacca e cravatta, il clan dei solitari, il clan dei contestatori, degli sportivi e così via, ove ognuno può trovare la propria zona di comfort per sentirsi pari fra pari e avere un luogo di protezione dal duro mondo che lo circonda con dinamiche estranee che l’essere a volte non comprende, altre volte finge di non comprendere ed altre ancora non vuole comprendere.
Tutte queste maschere sono l’interfaccia comunicativa e protettiva entro il quale l’essere, caricato il programma del caso, è pronto ad interagire e comportarsi come concordato. Un mondo facile e perfetto, predefinito, codificato, ottimamente strutturato per far si che tutta la comunità, crocevia e incontro tra i vari clan, si possa muovere armonicamente in un sistema di predizione e prevedibilità facile e consueto. Il tutto è rassicurante, ovattatamente semplice, invitante e poco dispendioso.
Nessuna sorpresa, nessun turbamento, nessuna storia da dover scrivere ogni volta. Una certezza, forse alienante o cortocircuitale nel quale a lungo andare l’emozione potrebbe spegnersi interiormente senza quasi neanche rendersene conto. Del resto Persona in latino significa proprio maschera. Ecco quindi anche le maschere di carnevale con la loro tradizione caratteristica simbolica per ogni archetipo umano, ci parlano delle nostre stesse “persone” ridicolizzandole, iperbolizzando i nostri atteggiamenti. O le maschere veneziane che hanno una funzione proprio catalizzatrice: attraverso esse il volto è coperto finalmente, e l’anima protetta è quindi libera di esprimersi senza timori e di mostrarsi per ciò che è e vuole-desidera fare nel mondo materico…
𝗠𝗮𝘀𝗰𝗵𝗲𝗿𝗮 𝗲 𝗶𝗻𝗴𝗮𝗻𝗻𝗼
Ma fino a che punto l’uomo rimane consapevole di tutti questi innumerevoli diversi volti-maschere che indossa ad ogni diversa occasione e circostanza? Fino a che punto l’uomo dopo anni di utilizzo di tali maschere è in grado di dire senza alcun timore: “posso fare senza”? Questa è la domanda da farsi la sera, davanti al proprio specchio…Le maschere sono mezzi, strumenti, stratagemmi sociali, mezzi di sopravvivenza… ma a che costo? Fino a che punto tali maschere ci permettono di vivere, e fino a che punto ci soffocano? E’ questa la domanda.
Può un artifizio di comodo, ucciderci lentamente? Atrofizzare il nostro stato immaginifico e emotivo? Quando indossarla e quando no? Quando essere autentici e quando essere altro da noi? Questa questione ha tante risposte quanti sono i diversi momenti della nostra vita. Si può forse, imparando ad ascoltare il proprio maestro interiore, capire la cosa giusta; forse non è impossibile. I momenti chiave, quelli importanti, nei quali bisogna essere autentici, veri, pronti all’ignoto, bussano alla porta del nostro destino spesso in modo chiaro. Non sentire questo flusso è essere già un po’ morti.
L’uomo vivo interiormente, l’uomo che sente la propria vita chiaramente, capisce quando posare la maschera e tornare ad essere se stesso, perché la situazione è lì, a chiamarti per nome, è li ad emozionarti come prima, è lì a dirti che questa scelta che devi compiere “ora” cambierà il tuo destino. E spesso non serve solo presenza di spirito, lucidità e consapevolezza, questo è il requisito primario ma non sufficiente. Dobbiamo anche essere dotati di forza, forza vitale, richiamo di vita. Perché togliere la maschera e mostrarsi nudi davanti ai venti della vita, alla responsabilità delle proprie decisioni, richiede forza, fiducia, capacità di immergersi nel fiume della vita. E’ spesso questa la sfida più importante da fronteggiare…trovare la forza dentro di noi per aprirci e denudarsi…
𝗠𝗮𝘀𝗰𝗵𝗲𝗿𝗮 𝗼 𝗖𝗼𝗻𝘁𝗮𝘁𝘁𝗼
Andiamo un attimo più in profondità. La maschera proteggendoci ci scollega emotivamente e vitalmente dal resto della struttura universale. Taglia le sinapsi, blocca il fluire degli umori. Questa maschera è protezione da una parte ma morte emotiva dall’altra. Ecco perché attardarsi troppo in esse è rischioso per la vita, per la nostra consapevolezza. Non è un male in se, usare le maschere.
E’ un male usarle sempre, nascondersi ininterrottamente. La vita non può essere vissuta proteggendosi sempre, bisogna mettersi in gioco, altrimenti essa muore. E a lungo andare l’essere potrebbe ritrovarsi a vivere in una eterna finzione. Quante persone, nei nostri ricordi di bambini, gioiose e vive per poi rivederle molti anni dopo tramutate in “macchine organiche” che alla fine hanno fagocitato l’essere emotivo stesso? Ricordiamoci, non c’è gioia senza sofferenza, stupore senza noia, desiderio senza rigetto, allegria senza rabbia, questo è il percorso nel nostro mondo materiale.
Non vivere queste emozioni, nelle loro accezioni negative, non ci permetterà quindi di sperimentare e capire in quelle positive quando questi arriveranno. La mancanza del buio non ci farà riconoscere la luce. Una mancanza del rumore non ci dirà quando saremo nel silenzio. La mancanza dell’odore non ci farà percepire la bellezza di una fragranza profumata. Siamo esseri duali, e come tali dobbiamo abbracciare entrambi i lati della vita. Questa è la regola per chi vuole vivere immerso nel mondo e abbracciarlo nella sua totalità, non vi può essere altra via. Saper riconoscere i giusti tempi delle maschere… questa la sfida più sottile quando si maneggiano.
Sa l’essere riconoscere tutte le maschere che indossa? Sa capire quando ne sta usando una, quando è scoperto, quando la cambia in un’altra? Quando le modifica, le riprende, le butta per sempre? Perché se non c’è niente di male nell’usare una maschera quando si interagisce con gli altri, il vero rischio che l’uomo deve evitare è rientrare nel proprio castello la sera, sedersi davanti allo specchio e non vedere che il volto di fronte a sé, è ancora una maschera e non il vero viso. Spesso alcune maschere hanno velate funzioni positive, propedeutiche, necessarie, ma nonostante i buoni propositi, riusciamo a scollegarle quando esse non sono più necessarie? Quando dobbiamo collegarci col nostro seme centrale? Quando dobbiamo ricollegarci alla sorgente? O dimentichiamo? Forse diventiamo pigri?.
𝗟𝗮 𝗩𝗲𝗿𝗮 𝗠𝗮𝘀𝗰𝗵𝗲𝗿𝗮: 𝗹𝗮 𝗠𝗮𝘀𝗰𝗵𝗲𝗿𝗮 𝗜𝗻𝘁𝗲𝗿𝗶𝗼𝗿e
Davanti allo specchio devi vedere il tuo volto nudo, coi suoi difetti, le sue cicatrici, persino le sue bruttezze e umane debolezze. Ma devi vederti… se vuoi essere vivo. Troppi uomini dimenticano questa semplice regola e giorno dopo giorno una maschera li ghermisce, lentamente. Diventano preda, strumento di quella maschera. Senza di essa si sentono vuoti, senza forza, senza uno scopo. La maschera come un acido interiore li corrode, li consuma nella forza vitale. Ecco la vera maschera di cui avere timore, non le centinaia che indossiamo ogni giorno. La maschera interna, quella che si cela alla nostra vista, quella che non vediamo allo specchio.
La maschera che ci dice: “Io sono il tuo volto, sono la tua realtà, i tuoi pensieri, la tua strada”, essa ci porterà alla perdizione. Essa è il peggior nemico, poiché è dentro di noi facendoci credere di essere parte di noi, che lei è noi stessi. La maschera interna ghermendoci ci illude, ci promette serenità, agiatezza, una vita facile e scorrevole. Ci inganna continuamente mostrandoci un essere più bello, più forte, più integrato. Ci mostra un mondo attraverso una lente modificante, distorcendo la realtà per una fruizione all’apparenza più facile. Questa distorsione interiore ci disallinea dai nostri desideri, dalle nostre volontà, dalle reali necessità, ci mostra ciò che è in modo solo apparente, ci preconfeziona il tutto come in un fast food, un cibo dallo stesso sapore in modo veloce e meccanico.
Il “conosci te stesso” delfico è partire innanzitutto dal volersi riconoscere, dal volersi denudare allo specchio: riconoscere il nostro vero volto fra le molte “persone” indossate ogni giorno, in particolare quella interna, questo è il primo passo necessario al Nosce Te Ipsum.
Questo atto di volontà è sempre unito ad una particolare consapevolezza. Ci vuole una forte motivazione per avvicinarsi a questo scomodo altare, nell’oscurità delle nostre stanze interne, ed essere pronti a sacrificare il nostro miglior agnello su questo altare. Senza questo primo passo, incontrare la nostra autenticità nel viaggio dentro il riflesso di quello specchio, è cosa vana, atto incompiuto e sterile. Dopo anni di vita vissuti su una strada, che riconosciamo essere non autentica, riuscire ad ammettere di avere questa maschera interna, riuscire a trovarla, riconoscerla, accettare di dover ricominciare su alcuni aspetti della nostra vita, è puro atto eroico. Questo è il vero atto eroico del “conosci te stesso”.
Questo il vero lavoro sulle maschere e persone che impersonifichiamo. Essere sinceri con noi stessi, riconoscendo di essersi persi, lavorare per toglierle con un lento e costante lavoro, vincere queste sfide interiori ogni giorno, avere il coraggio di guardarsi indietro, riconoscendo gli errori e spesso il tempo trascorso, è l’atto eroico che l’uomo di consapevolezza deve fare per se stesso. E’ questo il vero gesto di forza pura, luminosa per tornare al bambino felice di vivere, all’apertura nel dolce interno. Togliere la maschera interna è ritorno alla vita con tutti i suoi colori, le sue emozioni, le sue sfumature, è il risveglio al flusso incessante dell’universo, tornare a sentire il ritmo della vita che ti pervade, che ti vivifica, che ti porta prima in alto e poi in basso, risentire il cuore pulsare realmente, il suo battito, nel bene e nel male.
Maschere, Persone, Ruoli, Linguaggi… siamo una moltitudine di io, trovare il nostro centro in questo vortice è l’arte del guerriero…
Simbolo e Mito così come Mito e Favola, sono sempre stati accomunati nella tradizione popolare e colta. Sono forme di linguaggio che hanno diversi punti in comune, ma si situano su livelli di consapevolezza diversi. Per entrare nello studio comparato di questi diversi linguaggi, potrebbe essere utile tracciare, in ordine, su un percorso analitico, le diverse forme, partendo dalla più razionale fino a quella più intuitiva.
Questo percorso non deve ovviamente essere preso in modo apodittico ma come uno fra i tanti potenziali percorsi che si possono trovare in questo esercizio. Partiamo dalla matematica pura come espressione della forma razionale-logica più pura, con un linguaggio e un’ontologia ben definita nella sua essenza. Subito in parte vi sono le scienze naturali, dalla la Fisica teorica fino alla Biologia; spostandoci ancora oltre entriamo nei linguaggi verbali con un passaggio intermedio: lo studio della logica. Oltre la logica, nei linguaggi verbali, incontriamo innanzitutto il linguaggio filosofico teoretico rigoroso che è la prima porta d’ingresso alla grande stanza della filosofia. Nel linguaggio filosofico abbiamo moltissime forme di linguaggio e se riusciamo a tenere la giusta direzione, dovremmo uscire dalla stanza della filosofia, passando per la porticina opposta alla teoretica: il misticismo. Oltre il misticismo ci confrontiamo col Mito e sua sorella Favola.
Infine, alla fine del nostro percorso ci spogliamo del linguaggio verbale nuovamente per finire nel Simbolo per concludere il percorso con l’intuizione pura che non necessita più neanche del Simbolo… Questo percorso ci mostra innanzitutto come le forme di linguaggio Mito, Favola e Simbolo siano vicine tra loro, avendo alcune modalità e caratteristiche simili mentre altre le differenziano. Studiare comparativamente queste 3 forme è interessante perché ci dà una percezione più completa della sfera del Sacro, permettendoci di comprendere meglio come ci rapportiamo ad esso e cosa esso rappresenti per noi sui diversi piani della nostra esistenza. In questo percorso dobbiamo farci delle domande. Nel percorso del ricercatore, è forse più importante riuscire a farsi le giuste domande che trovare le risposte corrette. Perché il Mito? Perché le Favole? Perché i Simboli? Entriamo nel nostro percorso…
𝐌𝐢𝐭𝐨
Ercole combatte la morte per salvare Alcesti
Mito dal greco Mythos è per Omero parola, discorso. Il Mito è un concetto sfuggente, tanto quanto il Simbolo, difficilmente circoscrivibile. L’origine, come per il simbolo, si perde nella notte dei tempi e tutte le civiltà ne hanno fatto uso da sempre e in varie valenze. L’uomo è sempre stato affascinato dai racconti, e il Mito è un racconto, che rimane impresso nella memoria, conducendo con sé, vari livelli di significato. Come vediamo ha moltissime attinenze col Simbolo, e anch’esso ha un procedimento cognitivo molto simile, come decodifica finale, a quella di del simbolo (cosa già vista nel primo capitolo). Ma la differenza maggiore è nella presenza del verbale, della parola. Il Simbolo è pura forma geometrica, è contenuto veicolato in forma pura. Un’informazione che dal segno arriva direttamente sena passaggi razionali.
Il Mito, pur con finalità e contenuti simili, è invece rivestito di un livello di linguaggio ulteriore: la parola. Ora: perché la parola? Innanzitutto il Simbolo non è un linguaggio semplice. Essendo silente come Linguaggio, va conosciuto, coltivato, interiorizzato, bisogna anche esserne partecipi cardiacamente per attivarlo. La parola è infatti normalmente, nel campo del Sacro, elemento limitante e fonte di problemi ermeneutici. Tuttavia, nel Mito questo non avviene.
Il Mito è mezzo più universale, parla a tutti, anche ai profani, attrae i curiosi e i bambini, ci prende per mano e ci accompagna, ci intrattiene, ci fa sognare, aiuta la nostra memoria e attiva naturalmente la nostra immaginazione, è una forma d’arte in sé, e alla fine rimane ierofante tanto quanto il simbolo. E, soprattutto, nel caso non ne comprendessimo il significo interno, ci lascerebbe comunque qualcosa anche a livello esterno, una favola con tutto quello che essa ci dona. E la favola, con l’aiuto della memoria e della rielaborazione nel tempo, potrebbe tornare ad essere Mito, velandosi ai nostri occhi come contenitore di altro. Il Mito è inoltre un ricollegamento col nostro senso dell’antico, con le nostre radici, sia come uomo che come cultura. Ci permette di rivedere in chiave antica i classici nodi-riti-sfide che l’uomo affronta da sempre.
L’immaginazione e la libertà rielaborativa, nella lettura del mito, lo rendono attuale e antico nello stesso modo. La coordinata temporale è presente anche se non fondamentale e questo aiuta nella decodifica poiché lo svolgersi del racconto da riferimenti chiari. Il Simbolo è invece atemporale, fisso, come una stella. Non cangiante. O lo si coglie come esso è, o lo si perde come significato profondo.
Facendo l’esempio ad esempio del mito di Prometeo che ruba il fuoco degli Dei per donarlo agli uomini, contro la volontà del re degli dei Zeus, che lo punirà per questo, troviamo l’eterno racconto della volontà di pochi eletti di portare la conoscenza “nella Verità” (e non la falsa conoscenza ottenebrante) alla gente affinché essa si affranchi del suo stato di torpore. Questo ovviamente è osteggiato dall’oligarchia divina, simboleggiata da Zeus che non vuole condividere tale dono con tutta l’umanità. E chi salverà Prometeo dalla punizione? Eracle che è l’eroe prettamente umano (per quanto semidivino), nella sua penultima fatica, i Pomi delle Esperidi.
Ecco in questo mito un esempio di come le chiavi di lettura possano essere generaliste, come quelle sopra esposte, ma possano parimenti divenire altro, più personale o più determinato a seconda delle istanze e delle persone, e questo senza snaturare il Mito in sé: il tessuto portante rimane, un eroe dà un dono divino all’uomo per affrancarlo da una sua limitatezza, è inequivocabile. Tutto questo è un percorso molto simile a quello del Simbolo nel suo percorso cognitivo. Lo stesso Mito-Significante (Segno per il Simbolo) porta attraverso il personale processo cognitivo ad un personale Messaggio-Significato.
Il Mito come, si vede da questo esempio dove sono presenti 2 eroi principali che si incontrano (Prometeo che simboleggia il Maestro ed Eracle che simboleggia l’uomo Solare), ha inoltre un’altra caratteristica importante: i personaggi dei vari miti si incontrano nei diversi racconti, formando una rete fitta di relazioni e vicende, dinamiche, storie, tali per cui ogni storia mitica ha in sé un insegnamento allegorico e morale singolo, ma andando più a fondo e studiando i miti nel loro insieme, come un corpo unico, allo studioso attento, tutta la struttura acquisisce un mondo archetipale-simbolico nel suo insieme. Questo mondo mitico può essere letto contemporaneamente da diverse prospettive, diversi livelli e dare risultati e morali sotto ogni punto di vista sia storico, che personale che morale.
Questa funzionalità tipica del sistema mitico permette allo studioso sincero e motivato, di decodificare il mito in macro-aree che lo renderanno generatore di informazioni e insegnamenti ben definiti. Cosa che sfugge al lettore del singolo mito o a colui che non ha una critica comparativa tale da fare i vari collegamenti. Da una lettura passiva-superficiale, si arriva quindi ad una lettura attiva-strutturale e quindi ad seguente un percorso ben definito dove l’Adepto non segue più il racconto e si fa trasportare da esso, ma lo collega agli altri che lo intersecano e ne fa quindi un paesaggio tridimensionale vivo e in movimento.
Visto da questo punto di vista, il mito può essere accostato ai Ching cinesi, dove ognuno dei 64 esagrammi ha un significato e un messaggio in sé, ma è solo studiando e consultando in modo composto i Ching, e conoscendo la struttura nel suo complesso che si hanno le vere risposte da parte dell’oracolo e non semplicemente delle frasi di difficile comprensione.
Rispetto al Mito, il Simbolo è invece un’entità diretta, ieratica, potente e meno vicina alla comprensione razionale. Può essere dimenticato, non notato, frainteso, non attraente…Dunque il Mito aiuta l’Adepto lontano per inclinazione al Simbolo, e soprattutto aiuta il profano, istintivamente attratto dal profondo e dal sacro, ad avvicinarsi ad Eleusi, ma in modo dolce e graduale, poiché il Simbolo Sacro sarebbe salto troppo ampio. Col Mito la persona profana comincia l’elaborazione del mistero senza spesso esserne neanche consapevole.
In questo vediamo come i Maestri passati non abbiano lasciato nulla al caso e abbiano creato per ogni situazione e ogni tipologia di persona i linguaggi migliori per trasmettere le conoscenze necessarie. Non è un caso infatti, che non solo i simboli, ma anche i miti, siano comuni e ricorrenti in tutte le culture. Contengono nomi diversi, hanno dettagli diversi, poiché questo è il loro aspetto esteriore che si adatta, ma nella sostanza, i principali miti umani sono patrimonio simile, di civiltà in civiltà, sia nel tempo che nello spazio.
Ecco che le diverse narrazioni epiche locali potrebbero essere lette, al di là della classica chiave storica, anche come un adattamento del Mito, per renderlo comprensibile e vicino alle culture storiche contingenti. Il mito inoltre, attraverso il racconto, accede anche alla sfera emotiva, e tramite l’emozione stimola l’immaginazione e quindi il potere creatore, e in tutte queste espressioni, predispone la persona al suo futuro passaggio nel Tempio.
Sposta la consapevolezza del postulante dal livello materiale profano, ad un livello che racchiude in sé diverse sfere contemporaneamente: la sfera artistica, quella di sogno, quella allegorica, la morale, l’emotiva, e in questa stimolazione apre e destruttura il razionale semplice, superficiale accompagnandolo in un terreno più profondo, denso di relazioni e oscuro come quello mistico. Studiare il Mito è rielaborare in noi stessi le antiche e uguali storie archetipali dell’uomo e dell’universo così come facevano i nostri avi. Leggere i racconti mitici o vederne le raffigurazioni è per ogni uomo dotato di una minima sensibilità di spirito, un’emozione e uno sguardo in un mondo di sogno. E per chi è predisposto, il Mito attiva un potere trascendentale molto simile al Simbolo.
Nel Mito si rivivono inconsapevolmente e interiormente i Riti e i complessi religiosi (nel senso etimologico del termine, di riunire-rilegare) della propria umanità, ma in modo dolce, con i tempi necessari, lasciando apparire ciò che può apparire, e tenendo in un secondo piano più oscuro ciò che non si è pronti ad elaborare. Nel Mito il simbolo viene umanizzato, reso parlante, agente; l’archetipo è quasi smascherato nella sua funzione e finalità attraverso la storia del Mito, ma è mascherato sotto una forma già conosciuta alla sfera razionale dell’uomo, affinché il ponte intellettuale non sia troppo ampio.
Interessante notare come, nonostante in occidente il sistema Mitologico Greco (e anche altri attigui e più antichi) sia da sempre molto presente nella cultura popolare e colta e sia inoltre ben articolato e in grado di trattare qualsiasi aspetto morale, esso, da un punto di vista religioso, non sia mai stato inglobato nelle tradizioni teologiche ufficiali fin dai tempi del primo cristianesimo.
Il Mito di origine greca, va in sonno, nelle religioni ufficiali, proprio con l’avvento del cristianesimo, argomento molto interessante ma che non abbiamo qui il tempo di approfondire. All’opposto, ad esempio nella tradizione Vedanta, il Mito è invece sempre stato mezzo di studio fondamentale, dato che i principali Poemi Epici (Ramayana e il Mahabharata, che contiene il famoso Cantico del Signore) sono una colonna fondamentale del sistema religioso indù, soprattutto per il popolo, mentre i testi sacri più complessi (i Veda e le Upanishad) sono lasciati prevalentemente ai Brahamini.
𝐅𝐚𝐯𝐨𝐥a
Esopo racconta le sue favole
Parlando del Mito e del Simbolo, diviene utile analizzare anche la favola, vedremo presto perché- Anche la favola è infatti una porta verso il sacro, anche se in forma leggermente diversa.
La favola, sorella del mito, ha la sua etimologia in Fabula, Fari, parlare-narrare. Essa è quindi racconto come il mito, sono molto vicini etimologicamente. Ma a differenza di questo, il suo vestito, il suo apparire è più leggero, più fresco, più immediato e semplice. Il Linguaggio della favola e con essa quello della fiaba (che ha un carattere, nei suoi personaggi, più fantastico rispetto alla favola) è simbolico nonché allegorico e morale esattamente come il mito e usa anch’essa animali, uomini, creature fantasiose per richiamare le corrispondenti forme archetipali. Ma lo fa con un piano più destrutturato, più esplicito, più adatto a persone ancora più profane.
Possiamo dire che la favola e il mito sono sovrapposti, ma mentre il mito tende la mano al simbolo, la favola tende la mano al linguaggio comune. Ecco che la favola è anche strumento pedagogico nella crescita dei bambini. Poiché essi, sapendo intuitivamente di essere non solo corpo, necessitano e chiedono quindi cibo per lo spirito e l’intelletto sotto forma di racconto; questo cibo è adatto alla loro semplice struttura cognitiva razionale, ma contiene tutti gli altri livelli simbolici di cui necessita la psiche per nutrirsi, elaborare e strutturarsi. La favola assume 3 funzioni differenti nel passaggio all’onirico dei bambini, dato che essa viene ascoltata ed elaborata nello stato di dormiveglia e stimola quindi nel bambino
a.) l’apprendimento razionale del linguaggio verbale,
b.) l’immaginazione e la visualizzazione del racconto letterale e infine
c.) l’elaborazione del livello allegorico e morale della trama nella favola.
Queste stimolazioni simultanee sono un lavoro articolato e nuovo per il giovane apprendista e il richiamo di Orfeo è la necessaria pace dopo il faticoso percorso. Durante il sonno, nel momento subito successivo al dormiveglia, la favola diviene sogno e il sogno continua il percorso della favola stessa. Per questo spesso i bambini richiedono spesso le stesse storie prima di addormentarsi: l’elaborazione della stessa in ogni transizione al sogno, è cosa differente e ogni volta più articolata e confermata, andando a definire sempre più dettagli e livelli.
Nella Favola i simboli sono meno complessi del mito, animali, personaggi familiari, bambini o uomini semplici sono le basi portanti, a differenza del mito dove queste strutture sono molto più articolate, strutturate e necessitano di una conoscenza anteriore per seguire la storia. Eppure ciononostante, gli archetipi e le dinamiche simboliche sono ugualmente presenti con le stesse dinamiche e relazioni. I vari animali, i mestieri delle persone, i gradi parentali, le diverse forze della natura, la magia e le lotte, tutti questi simboli e molti altri, nelle favole rappresentano una chiave archetipale più facilmente leggibile e la persona comincia la codifica delle forze e delle energie nel mondo reale e personale con un percorso semplice e introduttivo.
Nelle favole di Esopo, dove gli animali sono i vettori archetipali, l’ascoltatore entra giocoforza nella comprensione degli aspetti della natura sia esterna che interiore: la volpe diviene la furbizia, il leone la forza, la capra l’ingenuità, il cane la fedeltà. E percorrere tutte queste favole in serie, permette di entrare in possesso di tutte queste forze, comprenderne le dinamiche e relazionarle fra loro.
Le favole, proprio come i Miti, ma soprattutto i Simboli, possono inoltre essere usati come tramite per tramandare informazioni e contenuti segreti, ma solo con le corrette chiavi di lettura. Vi sono infatti favolette alchemiche, che con le corrette chiavi danno acceso a ricette operative e sicuramente diverse altre favole, che sono per natura più flessibili e malleabili, rispetto al Mito, sono state create per ricordare nel tempo aspetti importanti da tenere nascosti.
Questo utilizzo della favola come contenitore segreto è simile alle tecniche di stenografia di Tritemio ed era adatto perfetto per le necessità degli alchimisti. Ecco ormai chiaro come anche nella favola che il significante è portatore di vari significati, al di là del letterale. In questo ha la stessa funzione del Simbolo e del Mito
𝐍𝐨𝐭𝐚 𝐅𝐢𝐧𝐚𝐥𝐞
Chiudiamo questo argomento con uno spunto non tanto sull’aspetto ontologico di questi linguaggi, quanto sulla loro origine. Alcuni sostengono che in tempi remoti l’uomo aveva capacità mnemoniche superiori ed era in grado di ricordare tutto quanto gli servisse senza bisogno di libri. L’invenzione della scrittura è venuta in un secondo momento quando l’uomo non essendo più in grado di ricordare nello stesso modo, necessitava di un supporto materiale per non perdere le informazioni nel tempo. Sia il Mito che la Favola sono giunti a noi sotto forma di racconto, proprio come se fossero tramandati in forma orale, di generazione in generazione.
Questo fra presupporre che quindi, come linguaggi, essi si perdano nella notte dei tempi e fossero patrimonio di un’umanità antica e detentrice di un sapere più vasto e profondo. Come abbiamo visto, l’uomo, attraverso un’intelligenza “naturale”, dispone di tutta una serie di linguaggi per soddisfare il proprio bisogno di Sacro e le proprie necessità profane. Oltre al Simbolo, anche il Mito e la Favola sono una via per trovare il nostro Sacro. Ad ognuno la via che più gli si addice.
Nel mondo, sulla coordinata temporale, ci sono essenzialmente 2 momenti di vita: il momento profano e il momento sacro. E’ importante, se si vuole vivere la propria vita nella completezza, avere ben chiaro quali sono i propri momenti Profani e quali quelli Sacri.
𝗜𝗹 𝗽𝗲𝗿𝘀𝗼𝗻𝗮𝗹𝗲
Ci sono persone che, perdendo il senso del vero, tendono, a vivere dei momenti profani come sacri o, peggio, dei momenti sacri come profani; e in questo modo creano confusione nelle loro vite. Spesso molti di loro non hanno neanche chiaro il significato vero di queste 2 parole: Sacro e Profano. Ma, e questo è importante, la decisione che un momento sia sacro o profano, è decisione esclusivamente personale, profonda, quasi ineluttabile… non può essere frutto di cultura, educazione o autoconvincimento.
Quindi, giusto per chiarire, qui non si intende tanto l’uomo che va alla sacra messa la domenica mattina con approccio profano (come faceva ad es. mio padre, ricordo con piacere e nostalgia i suoi sguardi e il suo atteggiamento, tipo uscire durante la funzione con un savoir faire degno di un artista dandy) poiché in quei casi si è chiaramente in lucidità cognitiva dato che ci si sente genuinamente in un contesto profano anche se esteriormente rivestito di sacralità (vuota).
Qui per confusione ci si riferisce soprattutto a coloro che, giusto per fare un esempio fra molti, reputano sacro andare a messa o stare in famiglia quando in realtà per il loro sé, senza volerlo riconoscere, il momento sacro è magari il lavoro, o andare allo stadio o lavorare al giardino il sabato pomeriggio. Questa premessa è sostanziale nell’approcciare il Simbolo nel mondo Sacro, altrimenti cadremmo nella banalità di pensare alla croce nelle chiese, alla stella di Davide nelle sinagoghe o a tutti gli altri simboli Sacri culturalmente sacri ma che di sacro, per molti, nel loro profondo non hanno niente di niente. Quindi chiariamo: il Simbolo Sacro è un simbolo che per noi ha valenza profonda ed è collegato alla ns sfera interiore Sacra.
Questo chiarimento essenziale ci porta alla definizione del Simbolo nel Sacro: il Simbolo, nel momento Sacro, è un canale, per meglio dire un vettore, psichico, che ci trasferisce, in piena coscienza e consapevolezza quindi in totale padronanza del sé, dalla dimensione profana ad una dimensione profonda Sacra. E tanto più il Simbolo sarà in simpatia col nostro essere, tanto più la dimensione Sacra sarà profonda, vera e attiva. Ecco che da questa definizione, il Simbolo Sacro acquisisce un potere profondo, catartico, trascendentale e nel momento dell’esperienza non è tanto importante la condivisione di esso con un gruppo, ma è molto più importante l’intima unione e l’interiorizzazione nella propria psiche.
Il Simbolo nel momento Sacro è ricevuto e codificato in via puramente emotiva interiore, cardiaca o viscerale a seconda della vibrazione del ricevente. Raramente arriva alla sfera intellettuale se non in un secondo momento, anche se l’incipit al contatto con esso, può essere di tipo razionale. L’uomo quando entra nel proprio Tempio Sacro, figurato o reale, si predispone emotivamente, si silenzia razionalmente, rallenta il suo tempo, dilatandolo…e in stato ricettivo trova il simbolo che gli mostra una particolare forma di energia, di geometria, di vibrazione… in tale stato percettivo la persona vive uno stato di consapevolezza, più intensa e profonda. Entra in contatto con parti del proprio Sé nuove e sconosciute, percepisce nuove sensibilità e contatti col mondo.
Ma di nuovo, questi simboli non sono da intendersi in modo materiale…nel Sacro i Simboli sono molto più sottili. Questo è il vero Sacro: ciò che per noi è importante in profondità. E non ciò che lo è secondo le convenzioni sociali o di gruppo. Se poi le 2 cose combaciano, e spesso succede, bene, ma non facciamo l’errore di cadere in questa confusione. Quante persone si mentono su questo gradino e perdono il loro Sacro… E’ solo con questa sincerità e chiarezza che possiamo capire quali sono, per noi, i veri Simboli Sacri.
E’ quando si trova il proprio vero Sacro che esso ci può mostrare l’importanza sostanziale di come approcciare i nostri momenti più importanti della vita. Non è quindi il tempio, non è la tunica o la cravatta, non è l’incenso o la musica angelica che crea il nostro Sacro, se non lo sentiamo interiormente non ci può essere. Possiamo sforzarci, ma perderemmo solo tempo. Il Sacro non viene con l’imitazione e la cultura. Entriamo invece in sintonia con le nostre percezioni reali del Sacro, ascoltiamole, e tramite esse scopriamo i nostri Simboli Sacri…
I Simboli Sacri sono spesso nascosti, sotto la nostra percezione, ci parlano, eppure non sempre li riconosciamo…vanno scoperti con una capacità di ascolto sottile e il trovarli è un percorso di ascolto sia esterno che interno. Possono essere degli oggetti apparentemente banali, la catenina che ci ha regalato nostra madre da bambini, il regalo di una persona cara persa, un oggetto sul tavolo con cui giocherelliamo sempre mentre prendiamo le decisioni più importanti, oggetti che ci aiutano e ai quali ci colleghiamo nei momenti topici. Possono essere delle musiche o delle immagini o altre percezioni sensibili che ci pongono in stati di consapevolezza particolare, spesso per collegamenti con situazioni passate fortemente emotive.
Molti sentono come Simboli Sacri dei luoghi particolari, un Tempio, ma anche un bosco, una spiaggia, molti le altezze delle montagne o la profondità del cielo stellato…è possibile anche avere un luogo Sacro dove ci rifugiamo nel nostro immaginario, prima di addormentarci o appena svegli, creare in questo luogo il nostro tempio interiore e esso col passare del tempo acquisirà il carattere Sacro. Infine possono essere Simboli Sacri anche persone o animali o piante. Tante persone si ispirano a modelli di Maestri, Guru, altri si focalizzano sulle proprietà archetipali che incarnano gli animali e ne fanno un Simbolo Sacro, o ugualmente con le piante, tipo la Rosa per i RosaCroce, o il Loto per i Buddisti.
Ogni persona e ogni gruppo ha il proprio Sacro, soggettivo e unico. Ma perché questo concetto, che ognuno deve ritrovare il proprio Simbolo Sacro personale, risulta spesso nuovo o addirittura difficilmente accettabile? Ci insegnano che i Simboli Sacri, proprio perché Sacri, devono esserci dati…sono quindi quelli che ci sono stati insegnati, codificati mostrati, e pronti ad essere utilizzati…come è possibile questa cosa quindi?
La nostra cultura, soprattutto occidentale, nel corso dei secoli, ha fatto 2 cose che ci ha allontanato dai nostri Simboli personali e, coscienti di ciò, per rimanere comunque tranquilli nel nostro Sacro, ci siamo noi stessi dati dei simboli convenzionali per riempire questo vuoto di sacralità. Questo è anche il motivo per cui molte persone oggi sono prettamente materialiste.
Vediamo questi 2 aspetti:
1. Una certa visione del divino tale per cui la persona necessita di strutture intermedie tra l’uomo e il Sacro. Questo ci ha portato a pensare che il Sacro si trovasse solo nei Templi fisici e che questi fossero necessari. Per quanto sia sicuramente vero che il Tempio abbia una funzione catalizzante e utile, è importante che l’uomo si reimpossessi del proprio Sacro interiore fin nelle radici e viva il tempio esterno, con tutti i simboli ivi inclusi, come un sostegno e un supporto e non una necessità imprescindibile e quindi un limite.
2. La visione illuminista-razionale ha allontanato l’uomo dalla propria naturale sfera magica e lunare, relegando il potere del simbolo in funzioni e luoghi ben definiti, controllandolo. La riappropriazione del simbolo da parte dell’uomo e, soprattutto, dell’uomo da parte del simbolo, va di pari passo col momento Sacro, ed è esercizio difficile in una società che delimita, circoscrive e definisce nello spazio e nel tempo non solo i momenti profani, ma soprattutto il momento Sacro in modo netto e codificato ed essenzialmente vero solo se vissuto a livello di gruppo. Ma questo passaggio uccide il vero Sacro e lo rende bugia.E’ partendo dalla comprensione di questi concetti che ci si può riappropriare dei propri Simboli e del potere che essi ci daranno.Questo è un percorso Lunare che non è in antitesi col momento Solare, ma lo bilancia e bilanciandolo, lo rinforza ed equilibra.
Attenzione con questo non si vuole sminuire i classici Simboli ritenuti Sacri, dato che sicuramente a livello di gruppo hanno una valenza fondamentale e spesso lo sono anche a livello personale, ma è necessario che ognuno riconosca la corretta valenza di ogni singolo simbolo nel proprio mondo e non si accontenti di “un cibo preconfezionato”, dato che la vibrazione per simpatia tra un Simbolo e una persona non sottostà mai a semplici leggi logiche né tantomeno può essere forzato esternamente. O peggio ancora, si deve evitare di forzare un simbolo nel nostro esperire solo perché nel nostro gruppo esso è ritenuto sacro.
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Dobbiamo infine trattare il secondo punto del binomio Simbolo e Sacro e riguarda l’esperienza di un Simbolo in un contesto Sacro predisposto. Nei paragrafi precedenti abbiamo infatti necessariamente privilegiato l’esperienza diretta personale del Simbolo Sacro su quella di Gruppo, in particolare su quella delle istituzioni Sacre in ogni loro forma. Ma questo è dettato prevalentemente da una necessità contingente, derivante da come il Simbolo sia percepito nella società moderna da parte delle persone; infatti molte, non riuscendo a riappropriarsi innanzitutto dei loro Simboli personali e fondamentali, uccidono il Simbolo nella loro gnosi e si precludono l’accesso a questo linguaggio ampio e potente.
È tuttavia vero che diverse realtà filosofiche-mistiche perpetuano e vivono il rito del Simbolo, spesso con modalità anche simili. Queste modalità diventano quindi mezzo (nella forma passiva) e strumento (in quella attiva) catalizzante per gli Adepti che intraprendono tale percorso. Vi sono infatti luoghi, ancora oggi, dove la pratica è viva e si officia il Simbolo con modalità Sacre. Alcuni affermano il contrario, probabilmente non sono stati fortunati o non sono ancora pronti, dato che l’esperienza della bellezza di un quadro dipende in parte dal pittore ma in gran parte dalla sensibilità artistica dell’osservatore stesso.
Bisogna innanzitutto premettere che spesso molte correnti filosofiche e religiose si rinnovano nelle forme esteriori e a volte persino nelle loro ontologie portanti (…) e questo è sempre fonte di grandi discussioni interne. Ma a ben notare non toccano mai, invariabilmente, i loro Simboli Sacri: perché le forme vettoriali simboliche, che sono la chiave di accesso alle loro stanze più intime, devono per forza rimanere invariate. È’ la legge del Simbolo.
Cambiare il simbolo significherebbe accedere a stanze diverse, esperienze diverse e il corpo sottile si indebolirebbe inevitabilmente. Nel Sacro si possono cambiare le forme esteriori, le ritualità, modificare le strutture filosofiche, aggiornare il percorso cognitivo e il linguaggio, ma cambiare i simboli portanti significa rivolgersi ad un’energia diversa. Persino nel mondo profano, si ha percezione dell’importanza di questa cosa, quando si ha a che vedere con i loghi (nome profano di una forma simbolica) delle aziende stesse: difficilmente si cambia logo a cuor leggero…persino nel profano. E questo è dovuto al rapporto tra il simbolo e le energie sottili che sottende, come già spiegato nella seconda parte di questo percorso, dove abbiamo visto i Simboli come linguaggio della Geometria Sacra.
Ecco che capire l’importanza del Simbolo Sacro condiviso da un gruppo di persone, durante un rito in un tempio, diviene il primo passo per entrare in questa dimensione. Il rito ha una funzione pratica ben precisa nel mondo del Sacro. Nel rito i movimenti, la gestualità, il parlare o essere silenti, è preordinato nei minimi dettagli. Nulla è lasciato al caso. Questo armonizza il gruppo e silenzia il mentale a partire dal suo lato egoico. La scimmia è momentaneamente imbavagliata. In tale situazione, se i partecipanti hanno la giusta predisposizione e presenza, e gli officianti sono cardiaci e sinceramente intenzionati, la vibrazione del tempio sale e il Simbolo che viene mostrato, acquista una vita propria che impressiona in modo profondo chi ne fa esperienza.
Il Simbolo in questi contesti è sempre scelto con estrema attenzione e viene veicolato dopo la giusta preparazione, affinché la ricezione dello stesso avvenga quando l’Adepto sia nel suo momento ricettivo più intenso. In genere in tali momenti il Simbolo Sacro viene preceduto da una serie di dichiarazioni che ne presentano la forza, le caratteristiche e la valenza, sia in modo esplicito che a volte in modo allegorico. Si spiega anche perché si ha accesso a tale Simbolo e che utilizzo farne. Il Rito tratta tutti questi aspetti con profonda attenzione, esso è una rappresentazione tragica nel senso funzionale emotivo del termine, affinché l’adepto sia aperto emotivamente, interrompa la sfera razionale e abbia un’impressione psichica ed emotiva intensa del Simbolo. Questo permette di stabilire una connessione viva tra la persona e il simbolo duraturo nel tempo.
In alcuni riti, la visione del Simbolo è il momento apicale del rito e spesso dopo tale momento il rito diventa più sopito per permettere al Simbolo di decantare in profondità senza essere contaminato. È utile ricordare che tali momenti dovrebbero essere seguiti da un periodo preferibilmente di solitudine fino al successivo sonno e che il miglior modo per prepararsi sia con digiuno. Questi riti devono inoltre essere vissuti con il dovuto spazio temporale tra di loro affinché l’elaborazione del Simbolo ricevuto sia sufficientemente sedimentato e definito.
Spesso alcuni ricercatori tralasciano questo ultimo aspetto, probabilmente per una non totale comprensione della valenza temporale di un percorso così delicato che non può estraniarsi dai ritmi della natura. Questo porta a 2 effetti negativi nel rapporto coi Simboli: una potenziale profanazione del potere del Simbolo in sé e una difficoltà nell’assimilazione dei diversi Simboli in tutti i loro aspetti più sottili e sfuggenti. Il ritmo e il senso del tempo, nello studio della via Simbolica, sono fondamentali: si può rallentare se necessario o conveniente, ma non si deve mai accelerare. Questa parte del trattato sui Simboli, per chi non avvezzo alla sfera del Sacro e al suo linguaggio precipuo può forse sembrare spiazzante o di difficile comprensione.
Del resto trattare i Simboli senza uno sguardo sul loro aspetto Sacro sarebbe non solo riduttivo, ma altamente improprio in quanto è proprio nella sfera del Sacro che i Simboli trovano una delle loro maggiori espressioni e funzionalità soprattutto nella loro valenza attiva.
Aria. Vi sono esseri che vivono leggeri, nell’aria…nell’etere, vicino al Sole. Esseri leggeri, riescono a volare… Quale dono fa volare un essere per librarsi sopra l’eterna forza materica?
Ci sono sempre state anime, nel corso del tempo che, in modo naturale, sono riuscite ad aprire le ali e staccarsi dal mondo degli umani. Nessuno glielo ha insegnato, un giorno senza neanche sapere il perché, hanno sentito quel dono prezioso. Hanno sentito le ali e aperto il volo per entrare in nuovi spazi, in nuove ottave, fino a poco prima sconosciute.
È questo un percorso animico, ancora prima che di vita, forse ineluttabile. Perché non sono le sofferenze, non sono i dolori e neanche le mancanze o le privazioni a donarti le ali. È una grazia interiore, silente, impercettibile, che si sviluppa tramite una forza soggiacente che penetra l’essere e lentamente lo tramuta in qualcosa di nuovo, di diverso.
Vi è, in realtà, un tempo per essere uomo, e un tempo per essere volo. Questo tempo, quello del volo, è un istante esterno, che ci viene a trovare per insegnarci il nuovo.
Non a tutti è concessa questa opportunità, ad alcuni sarà preclusa per tutta la vita, una vita rivolta sempre verso il basso e il vicino.
Ma coloro che levano lo sguardo oltre, coloro che ammirano in solitudine e in silenzio, questi osano vedere l’alba e il tramonto non concessi; per essi il tempo si prepara. Non si può dire se scegliendo o no, essi vivono nell’orizzonte, per lungo tempo; prima lentamente, poi sempre più profondamente, tra cielo e terra, nel confine tra i 2 regni. Partecipano di entrambi e tramite il proprio templum interiore, forgiano nei propri corpi gli spazi sacri del cielo e della terra, delimitandone le 4 aree come facevano anticamente gli Auspicanti. È in questo percorso che le ali si formano e si preparano per un domani ove aprendosi porteranno la sensibilità nascosta e risvegliata oltre l’orizzonte, nelle sfere lucenti.
Non vi può essere questo percorso se l’essere non possiede il dono della sensibile percezione. Questo dono è una fiamma che va protetta e coltivata all’interno del proprio Sanctum. Una Luce interna divina che un giorno, quando l’essere sarà pronto, sarà prodiga di doni infiniti.
Questa Luce è una sensibilità naturale. La sensibilità che permette di penetrare nel cuore delle cose, direttamente, in modo semplice, cardiaco, intuitivo. La sensibilità che mostra le differenze sostanziali nelle situazioni e permette di capirne i fulcri e le dinamiche comprendendo il messaggio e le potenze poste in esse. Sensibilità…una potente musa ispiratrice, essa dà accesso ad infinte potenzialità percettive…al bello… alla poesia… alla magia… alle sfumature nei colori, nei suoni, nei sapori, nelle forme, negli spazi, nel tocco di un corpo desiderato nel buio di un amore. Essa mostra il nascosto, il sottile, l’impercettibile, svela il segreto mistico. Amplifica la percezione, la espande, la rende chiara e fruibile su tutti i piani. Dove l’uomo comune vive forma e materia e poco altro, l’uomo sensibile vede armonia e vibrazione, vede richiamo, vede energia, vede luce, vede un immenso oceano di infinte onde susseguirsi ininterrottamente.
La sensibilità di spirito è la porta al segreto nascosto delle cose create. Essa percepisce non solo gli archetipi formanti delle cose, ma le loro stesse forze e qualità e destinazioni. Attraverso questo percepire l’utilizzo del mondo e degli strumenti è maestria, bilanciamento, armonia, e l’uomo così dotato, diviene esempio e luce per altri compagni che ne percepiscono intuitivamente la facoltà sottile per poterla risvegliare in loro stessi, se provvisti del Lume interno in sufficiente quantità.
In un Rito, Sacro o profano non importa, potrete trovare le sensibilità dei partecipanti semplicemente nelle piccole cose…dalla loro attenzione nello sguardo, dal tono della voce, dal senso del tempo nel parlare e nel movimento, dalla grazia della presenza, dalla scelta dei vestiti appropriati. È nel rito codificato e ripetuto che la sensibilità, contrariamente alle apparenze, si palesa meglio negli uomini, poiché in esso l’essere può esprimersi solo attraverso poche forme di comunicazione sottili, e lascia al resto della liturgia gli elementi più grossolani e appariscenti. Notate questi dettagli nei riti dei vostri vicini e capirete.
Nel rito ripetuto la persona sensibile salirà a spirale mostrando nel tempo sempre più grazia, più profondità, più comprensione, avrà una percezione del tempo dilatata e il suo corpo emanerà un’aurea stabile e luminosa. Contrariamente l’uomo non provvisto di tale dono si sentirà costretto, cupo, legato, e sentirà sempre più mancargli l’aria e lo spazio…troverà scuse per mancare e alla fine scomparirà dalla scena.
Ecco le 2 spirali, ove una si innalza verso un Luce sempre più rarefatta e penetrante e l’altra nella compressione e condensazione insostenibile.
Nel procedere della vita, l’uomo comune si soffermerà sugli aspetti esteriori, i dettagli insignificanti, le regole dettate, studierà infiniti libri per cercare di afferrare e trattenere e renderà l’atto e la conoscenza, qualsiasi essi siano, frutto di un indottrinamento pesante e sovrastrutturato, darà priorità agli aspetti primi e materiali e amerà correre sulla superficie. Dall’altro lato, l’uomo sensibile sarà guidato dalla ricerca dello spirito, del bello, comminerà lento e così potrà esplorare le profondità delle sue terre, avrà atteggiamento silenzioso e calmo, uno studio più intuitivo e diretto, strutturato in modo leggero, sentirà naturalmente la cosa da farsi, arriverà alla comprensione nell’esecuzione stessa del gesto, percepirà sensibilmente l’armonizzazione nelle diverse situazioni ed ambienti adattandosi ad esse naturalmente, eviterà gli scontri e sarà poco appariscente.
Questo volo, volo leggero, vive l’uomo sensibile rendendolo particolare.
Una particolarità che è difficilmente esprimibile verso chi non ha gli strumenti per viverla. Nel rito del tè, ad esempio, egli non si preoccupa tanto del tipo di te, non cerca la teiera dal materiale perfetto. Non studia libri o ordina i migliori te dall’altra parte del mondo. Non compie forzati gesti decodificati o calcola con precisione i tempi di infusione. Nel rito del te, l’uomo sensibile, fa fluire il tutto con estrema semplicità e naturalezza come un bambino che gioca. Compie poiché sa, intuitivamente. Semplicemente preparando e bevendo il tè, si ricollega ai suoi momenti dello stesso fare. Bevendone, ritrova i propri io, passati e futuri che, insieme a lui, in quello stesso istante, stanno preparando e bevendo una tazza di tè. In modo intuitivo si armonizza con essi, tramite le sensazioni, gli odori, i profumi, i rumori, i gesti, persino i calori.
Questa armonizzazione permette l’unione magica con ciò che egli è, è stato e sarà nel circolo del tempo, e tutti insieme possono allora godere e vivere quella sensazione, indefinita ma viva e presente, fuori del tempo e dallo spazio. In quell’istante la cosa più intensa e finale non è tanto il percepire del sapore del tè, il suo calore o il tocco della tazza.
Tutt’altro, questo è solo un tramite, un espediente, un accesso per andare oltre, più in profondità…l’uomo sensibile non si ferma a quel livello. La sensazione più pura a cui egli giunge è il percepire silente ed intimo che lo sta ricollegando ad un momento di eterno presente che gli appartiene unicamente… ricollegandosi al passato e al futuro, agli altri suoi io, attraverso gli stessi gesti, lo stesso rito, lo stesso fluire del corpo e della materia. Questa magia, questa sensazione inesprimibile, calda, intensa, questa poesia del movimento e del sentire è il “tocco delle ali”.
Collegato egli partecipa dell’oltre. Al di là dell’orizzonte, egli vola oltre.
Si impara a farlo nella ritualità dei nostri piccoli amori nascosti. Il tè, scrivere, camminare, guardare il tramonto, suonare, danzare o altri 1000 riti che l’uomo quotidianamente reinventa per entrare in questi spazi magici…così insignificanti, eppure così densi e vivificanti.
Ed ecco, quando le ali si aprono, in quel giorno indefinito della vita, entrando nel tuo rito, senza saperlo ne scopri la presenza, ed esse toccandoti, ti porteranno in questi spazi inespressi; ne vivrai le bellezze, pienamente, gioiosamente, senza poter esprimere a nessuno questa tua magia. È cosa intima e personale. Queste ali ti daranno la visione di ciò che è il cuore della vita. La magia delle pieghe nascoste della vita. Queste ali diventeranno da quel giorno tue servitrici, e vi potrai tornare sempre, ogni volta che ne vorrai, coi tuoi riti segreti. Sono un dono per sempre in questa vita. Ricordalo, e la sensibilità che ti porterà in queste terre, la tua sensibilità farà aprire le tue ali.
Sensibilità. Bisogna proteggerla, curarla, ascoltarla… Bisogna accudirla e amarla, ma forse pure così potrebbe non bastare, poiché essa è un dono tanto sottile quanto impossibile da imbrigliare. Molti la perdono nel cammino… poco ascolto di sé stessi, paura ad aprirsi, troppi giudizi, troppa durezza, mancanza di perdono…sono tanti i motivi. Ma per chi ha fortuna e grazia, essa rimane e non muore. Si può solo lasciarla risvegliare quando, teneramente, si mostra alla porta del corpo. Una leggera vibrazione parte dal cuore per attraversare tutto il corpo, una vibrazione vivificante. Sorge in modo dolce, ma se si è silenti la si sentirà. Questa vibrazione è il dispiego delle nostre ali, allora siamo pronti. Chiudendo gli occhi, potremo entrare in questo universo e muoverci in esso come aironi verso l’orizzonte del nostro tempo interiore.
Ecco il dono che non possiamo raccontare ma solo vivere, in un semplice momento…il tocco delle ali.
Il simbolo è una sintesi di diverse forze fondamentali dell’universo. Interessante notare come Sintesi in senso etimologico è molto simile a Simbolo: entrambe le parole hanno la radice Syn “con” ma mentre nel Simbolo è congiunto al verbo mettere, quindi con una valenza interiorizzante, nella Sintesi è congiunto con Tesi che è un posizionare, un porre, quindi un movimento esterno. Il Simbolo unisce internamente, la Sintesi unisce con un processo esteriorizzante.
E’ importante quindi capire la relazione tra queste 2 parole nel percorso del Simbolo, dato che esso come abbiamo detto, è una sintesi di alcune forze dell’universo.
Cerchiamo di essere più espliciti.
Il Simbolo si sviluppa attraverso un segno, quasi sempre un segno geometrico, anzi per semplicità soffermiamoci essenzialmente su questa tipologia, dato che tutti gli altri simboli, astratti, operativi, convenzionali etc, sono in senso ontologico meno determinanti rispetto a quello geometrico.
Questo segno, essendo formalmente definito, è posto sotto l’influenza della geometria, ed essendo la geometria una forma determinante nelle forme dell’universo, ecco che il simbolo, nel suo segno, ci parla delle caratteristiche che sottintende nelle sue geometrie.
Bisogna parlare della Geometria Sacra per entrare in questo aspetto potente del simbolo.
La Geometria Sacra è sempre stata studiata sin dall’antichità, in occidente ad esempio nelle scuole Iniziatiche Egizie, nella scuola Pitagorica e nell’Accademia Platonica solo per citare le più antiche e famose.
Cosa è la Geometria Sacra
Senza entrare in dettagli che esulano dallo studio del simbolo, la Geometria Sacra è lo studio di come le forze costituenti l’universo modellino la forma materiale e l’energia vitale al fine di perpetuare nel mondo materiale sia la vita stessa sia l’energia intelligente nella forma più adatta possibile.
Per fare qualche esempio chiarificatore praticamente tutte le forme provenienti dalla natura, i fiori, i cristalli, i lampi, l’acqua, le onde elettromagnetiche e i sistemi solari, solo per citare alcuni, sono tutti dotati di forme e caratteristiche geometriche che ne codificano, l’origine, la funzione, l’archetipo dominante e la qualità.
La Geometria Sacra è il linguaggio sacro dell’energia che penetra nella forma in questo universo.
In essa vi è la regola mostrata in modo chiaro, codificato e logico, tanto quanto una scienza come la fisica e la chimica.
I famosi Solidi Platonici sono una parte di questo studio.
Vediamo alcune regole base della Geometria Sacra:
La linea retta rappresenta il maschile
La linea curva rappresenta il femminile
Il frattale rappresenta l’ottava e la crescita della forma
Il rapporto aureo rappresenta il rapporto di sviluppo all’interno dell’essere stesso
La circonferenza rappresenta l’universo
Il quadrato rappresenta il materiale e la terra
I 5 solidi platonici rappresentano i 5 elementi
La linea verticale rappresenta un passaggio dal materiale allo spirituale ( o viceversa)
La linea orizzontale un percorso di vita o di conoscenza
Un segno sovrastante è dominante
Un segno a destra è maschile rispetto a quello a sinistra
Un triangolo è una risultante tra 2 forze di polarità opposta. Se con la punta in su il processo è spiritualizzante, con punta in giù materializzante.
Si potrebbe continuare, ma oltre a non avere il tempo e lo spazio per trattare nel dettaglio tutte queste caratteristiche, non ritengo sia lo scopo del seguente studio.
Coloro che fanno uso dei simboli, e in particolare i creatori dei simboli sacri, magici, operativi, sono tutti persone dotte nella Geometria Sacra.
Per questo la Geometria Sacra era una parte importante degli studi misterici antichi ed era considerata esoterica, cioè da insegnarsi solo agli Iniziati.
L’Universo, con le sue leggi di creazione-mantenimento-distruzione, nella sua sfera materiale-energetica, è soggetto alle regole della Geometria Sacra, e il simbolo, come forma geometrica, è un ponte di contatto con tali forze generatrici.
Ecco che il simbolo è un linguaggio che ci permette non solo quindi di comunicare con tali forze ma anche di accedervi nella loro sfera operativa pratica.
Vediamo un esempio pratico, forse uno dei più interessanti in ambito sapienziale: il triangolo alchemico:
Ecco che in questo caso abbiamo un triangolo dove alla base abbiamo lo Zolfo a destra, il Mercurio a sinistra e al vertice, come risultato dei 2, il Sale.
Esaminiamo i simboli.
Lo Zolfo
simbolo maschile e di Fuoco, ed infatti ecco che il simbolo è fatto di linee rette (maschili) e col fuoco ( il triangolo col vertice in alto, simbolo alchemico del fuoco) sovrastante sul simbolo terrestre, la croce.
La lettura del simbolo è ora svelata: un fuoco, di caratteristiche maschile si condensa, sul materiale terrestre. Lo Zolfo rappresenta l’anima di polarità positiva (e non lo spirito come molti pensano che è di polarità femminile) che viene dal Sole, simbolo sidereo del Fuoco del maschile. Tutto torna e tutto è chiaro.
Il Mercurio
simbolo femminile e di acqua. Ecco infatti che in esso troviamo tutte linee curve sovrastanti, con un semicerchio superiore aperto e ricevente, verso l’alto, per riceve il seme del fuoco, lo Zolfo che proviene dal cielo. Il Mercurio è infatti un simbolo più terreno e materiale del fuoco dello Zolfo e ne riceve quindi il seme posizionandosi più in basso. Il secondo simbolo, sempre curvo, è un cerchio afferente ad un ventre materno in gestazione, un utero in grado di elaborare il seme e concretizzarlo in qualcosa di nuovo. Ma il cerchio rappresenta anche l’universo, cioè il campo materiale di azione dove le energie lavorano. Come sempre, il simbolo sottostante della terra, a significare che il tutto è da leggersi in chiave terrestre, e che quindi la gestazione, darà un frutto sul piano materiale. Il Mercurio, alchemicamente rappresenta lo Spirito di polarità femminile.
Ed infine il Sale
che rappresenta il figlio. L’unione dello Zolfo con il Mercurio. Ecco che nel figlio la Terra entra nel corpo del simbolo, non è più sottostante ed è circondata dal cerchio, il simbolo del Sole. In quest’ottica la Terra e il Sole sono nella loro simbiosi più semplice ad armonica. Ma vediamo lo stesso simbolo da una prospettiva simbolica differente. Troviamo nel Sale il maschile nella sua forma più semplice e potente, la croce, le 2 linee rette, 1 orizzontale e 1 verticale indice che il figlio è perfetto e bilanciato, cioè sviluppato sia sulla linea spirituale che su quella intellettuale.
E, parimenti, troviamo il femminile nella sua forma più semplice e potente, la sfera universale, simbolo che il figlio è anche femminile, perfetto e bilanciato. Ecco nel suo simbolo il figlio ci dice che oltre ad essere androgino è anche la sintesi più potente e perfetta dei suoi 2 genitori, Il Sole e la Terra. Il Sale alchemicamente afferisce al corpo di polarità neutra.
Ecco un esempio in questa triade della genesi perfetta e archetipale, raccontata nel simbolo. In esso con 3 sole forme semplici geometriche il racconto trova la sua storia, completa e raffigurata al di là del tempo dello spazio e del linguaggio, facilmente trasmissibile, memorizzabile ed anche nascosta a coloro che non possono vedere.
Tramite questa comprensione di genesi simbolica si vede come il Simbolo sia un vettore perfetto della Geometria Sacra e come la Geometria Sacra sia il linguaggio decodificatore delle caratteristiche fondanti il simbolo.
Si può arrivare a dire che Simbolo e Geometria Sacra si fondono perfettamente nel segno quando l’artefice è un iniziato in tale arte.
Questo linguaggio, non decifrabile esternamente ad una cerchia di Iniziati, è muto e intelligibile, e rimane inalterato nel tempo giungendo a noi integro e forte come nel primo giorno di questo Universo.
Una anell0 tra Mondi
Con questo linguaggio l’uomo entra in contatto con le forze generatrici dell’Universo e attraverso il diverso tipo di Geometria che attiva, trae in movimento l’energia che gli serve, e la asserve alla sua volontà e ne coglie infine i frutti. Ovviamente il solo scrivere un segno o leggerlo non è sufficiente per attivare queste forze.
Per funzionare, tra le altre cose, il percorso simbolico, nel momento attivo di creazione e in quello passivo di ricezione, deve essere vissuto in uno stato interiore particolare, soprattutto in quanto a ricettività e purezza.
Perché è solo tenendo in considerazione che il Simbolo è una chiave di accesso, ma non è l’intera porta, che si riesce a penetrare nella stanza voluta.
E questo significa avvicinarsi al simbolo appunto con la giusta preparazione.
Questo rapporto tra Geometria Sacra – Simbolo – Uomo può determinare infatti una triade che dà luogo ad un insieme di potenzialità praticamente infinite.
Diversi uomini pur conoscendo tutto quanto detto fino ad ora, si avvicinano al Simbolo con un’intelligenza prevalentemente razionale… questioni culturali e di preparazione filosofica… e questo interferisce inevitabilmente nel rapporto con l’energia che attiva le forze contenute nello stesso.
Il rapporto col Simbolo è sempre un rapporto intimo, silente, meditativo, interiore. L’approccio razionale lascia chiuso il Simbolo e inaccessibile il suo contenuto. Di questo ne abbiamo già parlato.
L’energia viene attivata da una particolare sfera della realtà, e la comunicazione tramite la Geometria Sacra non fa eccezione da questo punto di vista.
Ecco che il Simbolo è accessibile solo con la necessaria preparazione interiore e il necessario percorso preparatore che dura anni di lavoro esteriore prima e interiore seguentemente.
Ma vediamo un altro aspetto della Geometria Sacra. Dato che tale forma di linguaggio è comune a tutto il creato, tramite tali regole, ecco che il Simbolo ci permette di entrare in contatto con tutti i punti dell’Universo. Supponiamo ad esempio che vi siano diverse sfere dimensionali. Tuttavia ogni sfera dimensionale sottostà alle stesse regole della Geometria Sacra che modella ogni cosa. Saper utilizzare i simboli ci permette quindi di creare dei ponti tra le varie sfere e mettere in accesso le energie di una vibrazione con quelle di un’altra quando normalmente per la lontananza vibrazionale, le 2 sfere dimensionali non potrebbero sovrapporsi. Il Simbolo per riflessione avvicina-richiama alcune energie simili tra le 2 dimensioni e permette quindi questo salto vibrazionale che in condizioni normale non potrebbe avvenire.
Questo utilizzo del simbolo, come ponte tra diverse sfere dimensionali, è possibile proprio grazie alla caratteristica della Geometria Sacra e al suo potere creatore indistinto in tutte le vibrazioni del creato.
Il viaggio nel Simbolo continua nelle sue diverse prospettive…
Il linguaggio si esprime attraverso infinite modalità.
Fra le possibili strade, il simbolo è uno di quelli che ha sempre affascinato, probabilmente per la sua capacità di parlare contemporaneamente su diversi livelli e per la sua predisposizione all’analogia, un metodo particolare per raggiungere la conoscenza.
Simbolo, etimologicamente significa mettere insieme, symballo.
Cosa mette insieme il simbolo?
Il simbolo accomuna, avvicina, traccia un percorso tra un segno geometrico esterno, il significante, e un contenuto concettuale interno, il significato; ma lo fa in modo diverso rispetto alla parola, che utilizza un metodo chiaro, razionale e ben regolato.
Nel simbolo, significato e significante giocano un rapporto amoroso dinamico e destrutturato, dove spesso non si capisce chi sia il padrone e chi il servitore.
Analizziamo innanzitutto il potere e la valenza del simbolo per l’uomo.
Una delle caratteristiche principali dell’uomo è la sua capacità di astrazione.
Questa capacità di strutturare ragionamenti per astrazione, in particolar modo complessi, determina una grande potenzialità creatrice nel percorso del sapere.
E il simbolo, nelle astrazioni, è strumento intellettivo attivo-attivante.
Focalizziamoci ad esempio, per vedere meglio la sua funzione nel processo cognitivo, sui concetti matematico-numerici.
In tale ambito il percorso, dalla matematica semplice alla complessa, è sicuramente molto articolato e durante il percorso si fa uso imprescindibile del simbolo… cifre, operazioni, lettere greche e tanto altro…
Tramite tutta questa gamma di simboli, non solo si concettualizza in modo sempre più profondo il mondo matematico, ma usando i simboli come base di astrazione, si ottengono nuovi concetti, sempre più complessi. Il simbolo è il mezzo principale in questa scalata verso l’alto.
E questo sia sulle proprietà quantitative (la matematica come disciplina stessa) che qualitative (le caratteristiche dei numeri in senso ontologico, come vengono ad esempio studiati nella Tetraktys di Pitagora). Tanto più i concetti sono complessi, tanto più numerosi sono i simboli e le loro valenze.
Sarebbe stato praticamente impossibile arrivare ai risultati tecnico-scientifici di oggi senza l’utilizzo dei simboli.
La struttura cognitiva del simbolo
Vediamo il primo simbolo in matematica e, tramite esso, cerchiamo di capirne il momento cognitivo.
Quando scriviamo 1, nella sua forma geometrica, ossia il segno “1”, esso ci veicola l’idea dell’unità che si vivifica in noi. ”1” cioè il segno è la prima esperienza percettiva che poi, solo in un secondo momento, tramite il nostro percorso associativo, ci porterà al concetto astratto dell’unità.
Ecco che troviamo 3 momenti chiave nella simbologia:
1) La percezione del segno simbolico tramite i sensi
2) Il percorso di elaborazione interno
3) Il concetto risultante finale
Ora in questi 3 momenti, il simbolo ci parla e ci mostra diverse cose, e ad ognuno mostra spesso cose diverse.
La percezione del segno
Innanzitutto vi è la percezione del simbolo parte dai sensi (vista – udito – tatto etc..), e questo dà le stesse informazioni ad ogni uomo. Il segno risulta e viene letto in modo uguale da chiunque.
Il simbolo ha quindi un momento oggettivo per tutti in modo indistinto, dal punto di vista percettivo. E questo è fondamentale per creare una base di linguaggio comune. Il simbolo è uguale e paritario…al re e al mendicante si mostra nella stessa forma.
Questa è una premessa fondamentale per costituire un linguaggio universale ad ogni uomo, nel tempo e nello spazio. E pochi linguaggi hanno questo potere quanto il simbolo. Sicuramente ne è sprovvista la parola.
Questo ha determinato un utilizzo del simbolo per comunicare messaggi importanti, nello spazio e nel tempo sin dai tempi più remoti. Ecco che il primo punto del percorso cognitivo ha già in sé una valenza fondamentale nella comprensione della forza del simbolo.
Il percorso interpretativo
Col secondo momento, l’elaborazione interiore del simbolo, entriamo nel campo soggettivo e ogni coscienza codifica ed effettua un percorso interiore particolare, frutto del lavoro passato e delle idee principali che costituiscono la sua forma mentis.
Per ognuno il simbolo è fonte di risposte differenti.
Ed è nei simboli fondamentali, quelli base, come i numeri o le lettere, che la coppia significante-significato è più aperta, più rarefatta, e tale gioco crea molteplici percorsi.
Ed è qui presente molta dell’arte creativa del simbolismo.
Questa è un’altra forza del simbolo: esso sottende ad un ventaglio di possibilità così vasto, che l’interpretazione è opera puramente personale e quasi incomunicabile a livello razionale tra i vari sperimentatori.
Esso ci porta dall’ontico (contenitore, forma esteriore, apparenza) all’ontologico (contenuto, significato, conoscenza), ma in chiave soggettiva, unica.
La croce, il Tao, o l’∞ o l’occhio di Horus; a seconda delle persone, latitudini e periodi storici, troviamo significati molteplici, a volte in contraddizione tra loro, eppure tutti coerenti e sostenibili.
Il simbolo è quindi, ad un’analisi profonda, un viaggio dentro noi stessi, e in tale viaggio, l’importante non è tanto la decodifica finale, ma il processo associativo interiore.
Poiché il simbolo ci parla 2 volte: all’atto pratico ci indica un messaggio nascosto in esso, e questo ha un aspetto operativo; ma nel percorso stesso, esso si fa catalizzatore, per aiutarci a sviluppare in noi associazioni che ci parlano, a loro volta, di ciò che noi siamo come esseri e di dove ci stiamo dirigendo; e questo è l’aspetto speculativo-introspettivo.
Il simbolo quindi apre colui che lo sperimenta, lo pone in azione e lo stimola su tutti i livelli, anche quelli inconsci.
Repulsioni e attrazioni verso alcuni simboli o figure geometriche, non si spiegano se non sotto l’ottica del movimento che il simbolo stimola nel nostro essere.
È anche per questo che l’inconscio ci parla, nel sogno, tramite i simboli.
L’inconscio è arazionale per definizione, e per comunicarci, disdegna la parola, chiusa ontologicamente; ricorre invece al linguaggio simbolico, linguaggio più aperto e adatto, nelle sue forme sfuocate, a veicolare significati eterogenei e profondi.
È proprio qui, nell’inconscio, che questo secondo momento trova il suo terreno più fertile.
Perché nel sogno, se siamo pronti a guardarci interiormente, in modo neutro, possiamo cogliere il percorso che avviene nella nostra mente e come essa vesta i concetti di simboli particolari; l’aspetto interessante del sogno è il che concetto viene rivestito di un simbolo ben particolare: in funzione esattamente di come noi ragioniamo e vediamo il vissuto.
Ecco che interpretare i sogni ha non solo la valenza di dirci cosa è contenuto nel nostro inconscio, ma anche di mostrarci come noi viviamo-strutturiamo sia il mondo esterno sia il nostro io interiore.
Il simbolo, come significante, è anche un vestito protettivo per i significati.
Nella persona, se non è ancora il momento giusto per il lavoro di decodifica simbolica, in particolar modo nei sogni o nelle visioni, il messaggio ricoperto dal simbolo, in quanto vestito protettivo, rimane comunque integro, vivo e attivo, e pur restando velato a livello conscio, lavora dentro, sottoterra, portandolo comunque nel nostro cammino; il messaggio inconscio-simbolico diviene parlante e ci porta all’azione.
I simboli, tutti, non solo quelli del sogno, vanno vissuti quindi interiormente, nel tempo e nel corpo. In silenzio e con calma.
Digeriti.
Non devono essere scoperti, svelati, bruciati…per generare devono stare nell’umido della terra, come una radice; solo così possono generare continuamente infinite potenzialità.
Proprio per questo i simboli non vanno mai cristallizzati…razionalizzarli è ucciderli.
Non si deve mai cadere in questa facile tentazione.
Il concetto finale
Il terzo momento del percorso simbolico è infine il concetto risultante che appare alla nostra coscienza. Esso è la risultante tra lo stimolo soggettivo e il percorso interno, ed è la nostra relazione cosciente col simbolo. Esso ci dice come noi ci poniamo rispetto ad esso e il rapporto che abbiamo con tutta la sfera che sottende.
Questo risultato può essere razionale, emotivo, animico, estetico, mnemonico, può essere una miscela di tutti questi percorsi. Qualunque esso sia, il concetto è una voce che ci dà una conoscenza diretta, passando da forma a concetto spesso senza utilizzo di sovrastrutture logiche.
E in questo ultimo passaggio il concetto viene protetto e adattato al fruitore in modo da renderlo utilizzabile e attuale al mondo del ricevente. Anche in questo, il simbolo ha una forza intrinseca unica che pochi altri linguaggi mostrano.
Da questo punto di vista il simbolo possiede un’intelligenza interiore che nessun manipolatore potrà mai scalfire. Il contenuto dentro il Simbolo è difeso, nascosto e inattaccabile. Ed è utilizzabile solo da colui che possiede la chiave corretta per aprirlo ed attivarlo. Per gli altri resterà semplice rumore di fondo, a volte persino muto, ma senza comunque mai arrecare alcun danno a coloro che non saranno pronti ad utilizzarlo.
Nel simbolo il messaggio viaggerà intatto e puro nel tempo, nello spazio e tra l’umanità in piena sicurezza, senza deturpazioni e quando sarà il momento esso mostrerà il suo frutto con la giusta forza indipendentemente che sia passato un sol giorno o infinite ere.
Del simbolo vi sono molti altri affascinanti aspetti da affrontare, come quando si ascoltano i 13 Preludi per Piano di Rachmaninoff…ognuno è interessante in sé…ma solo tutti insieme danno l’opera completa.